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Vacanze di Natale

Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Vacanze di Natale

di pgm
6 stelle

Per comprendere il presente, occorre studiare il passato. Applicare questa massima a una ben determinata (sotto)specie di cinema, peraltro tutto e genuinamente italiano, potrebbe suscitare più di un risolino. Eppure, nel clamoroso caso clinico del cinepanettone, l'accostamento non risulta troppo ardito e la materia si scopre vivamente interessante.

La capsula del tempo ci riconduce all'anno di grazia 1983, nei floridi anni Ottanta tricolori, ma, soprattutto, ci porta nella ridente e non ancora troppo luxury oriented località di Cortina d'Ampezzo, ove diversi gruppi familiari di italiani stanchi del solito tran-tran decidono di trascorrere l'infausto periodo delle vacanze natalizie. Ben prima dell'India, del Nilo, di Aspen, New York, Caraibi, Rio e chi più ne ha più ne metta, il cinepanettone qui ha allignato, qui è nato e, sotto molti aspetti, qui è morto. E notiamo, invero, le prime differenze con le creature che, in oltre trent'anni, lo seguiranno.

È un'Italia differente, ancora goffamente suddivisa in capitalisti e proletari, in padroni del vapore e lavoratori, l'Italia democristiana contrapposta a quella social/comunista nei fatti, se non nella mera rappresentazione scenica, tutti convergenti nella località del momento, tutti indistintamente coperti da un velo di Maya tesuto con i fili del consumismo già imperante e onnipresente. Le volgarità sono poche, ben dosate, quasi sussurrate, suggerite; non vi sono particolari trovate, se si esclude il celeberrimo personaggio bisessuale di De Sica, ma, più di ogni altra cosa, benché con talenti, storie e vissuti differenti, siamo in larga parte in presenza di attori, e non di un condensato del peggio del peggio della stagione televisiva e gossippara appena trascorsa, pregno di starlet e pseudocomici ansiosi di vendersi per vedere il proprio conto in banca lievitare.

Quanto emerge, in una storia però debole, fragilissima e di una folle ordinarietà, è una certa malinconia di fondo, esplicitata in maggior modo nella vicenda del pianista Billo, personaggio paradossalmente già malinconico di suo in quanto anacronistico chansonnier rubacuori condannato a viver di Natale in Natale, e della bella e infelice Ivana, moglie del cummenda Nicheli: un amore che poteva essere e non è stato, la prigionia di un matrimonio (in)desiderato e miseramente fallito nei fatti, i bei tempi andati, la gioventù perduta, gli anni che scorrono inesorabili e un futuro che certamente mai più potrà vederli insieme. Ecco, una profondità che le vacanze di Natale successive non vedranno nemmeno col binocolo, una profondità sacrificata sull'altare del sesso più becero, perlopiù solo verbale, e della sterile gag scatologica fine a se stessa.

Ma le pecche, ahinoi, non mancano affatto, come in primo luogo emerge a causa dell'ossessivo (dal principio alla fine) ricorso alla musica più in voga di quell'epoca, con l'oscena Grazie Roma a fare da theme music alla famiglia del macellaio romano/Mario Brega, sino alla pluriripetuta I like Chopin e altri brani talvolta totalmente incollati alle immagini con lo sputo, tanto da risultare irritanti.

L'intreccio, poi, è semplice semplice, impregnato di amorini e amorazzi, gelosie e ritrosie, corna e controcorna, nella migliore tradizione cinematografica vacanziera e vanziniana, e non soltanto di quella. V'è, inoltre, da sottolineare come i Vanzina registi siano proprio registicamente inetti, di una piattezza disarmante, prevediblii nonché per nulla originali, come dimostreranno nel prosieguo della loro ancora lunga carriera.

Una menzione particolare andrebbe tenuta per Riccardo Garrone, bravissimo caratterista del cinema che fu, dal curriculum interminabile, forse sprecato in un film del genere, ma dannatamente efficace nelle poche occasioni in cui compare in scena, un Covelli disilluso e fintamente felice, succube di una moglie viziata, sino all'esplosione finale nell'apprendere del lato "segreto" del figlio. Il solo Garrone varrebbe una visione.

In sostanza, tornando a oggi, alla situazione pestilenziale e degenerativa in cui il cinepanettone versa, possiamo parlare di un film probabilmente insignificante ma significativo, necessario proprio onde comprendere donde derivino figli, nipoti e figliastri che nei decenni esso ha generato, prodotti che forse sogliono tradire l'intento originario e volgarizzano, in tutti i sensi, questa povera nazione già duramente provata per sua stessa natura, facendo furore ai botteghini.

E anche questo Natale se lo semo... Eccetera eccetera.

 

Voto: 6

 

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