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Liberami

Regia di Federica di Giacomo vedi scheda film

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La recensione su Liberami

di OGM
7 stelle

Il Male esiste. Bisogna credere al diavolo, per credere in Dio.

Libera nos a malo. Il male interiore è tuttora l’enorme mistero. Non è difficile cedere alla tentazione di circondarlo di un alone di tragica magia. Il diavolo è l’inconoscibile della modernità. L’ultimo lembo di terreno che la ragione concede al nemico, nell’avanzare della laicità, dello scetticismo, della pretesa di poter ricondurre ogni fenomeno alle sue banali radici materiali. Potete anche chiamarla follia. Ma questo non basterà – è proprio il caso di dirlo – a esorcizzare quel terrore che nasce da dentro, dai recessi dell’anima: uno spettro che si ribella all’essere che lo contiene, come un rifiuto di credere che si ritorca contro il suo autore. I posseduti esistono. Veri o finti che siano. Sono in mezzo a noi, e continuano a testimoniare la presenza invisibile di una belva selvaggia che respinge l’idea di Dio non con una imbelle, inconsistente indifferenza,  bensì con l’impeto aggressivo di una forza sovrumana. Dire no, in questo caso,  non è  un semplice voltare le spalle. È invece un atto di aperta sfida, che si prepara con tutta la ferocia necessaria alla portata dell’impresa, alla potenza dell’avversario. L’epica è ancora possibile, il mito non se ne è andato. A coltivarlo sono rimasti i fedeli di una religione seminascosta tra le pieghe di una società che si professa libera, ma a volte, segretamente, adora le ancestrali catene della sua limitatezza. Alcune delle nostre parrocchie sono retrobottega delle superstizioni neglette, che non ne vogliono sapere di uscire di scena. E che, per ripicca, si fanno grandi attrici di tragedie la cui origine si perde nella notte dei tempi, refrattaria ad ogni spiegazione di comodo, bramosa di  vereconda devozione e incondizionata sottomissione. Questo documentario ci porta nel cuore ombroso di leggende horror che abitano nelle nostre città, mescolate ad un primitivo senso della comunità a cui fanno cupamente da collante. I riti degli indemoniati sono il sinistro spettacolo dell’unica Verità che, fra i tanti passeggeri schiamazzi dell’era mediatica, riesca ancora ad emettere un autentico grido ferino,  di quelli che non passano, che  rimangono attaccati all’ideale dell’eterno ritorno, sottratto al divenire, come un promemoria dell’irrimediabile tristezza del nostro destino. Lo sguardo cinematografico, per una volta sfrondato dalla morbosa ricerca dell’effetto, si posa su questa realtà con fare timidamente indagatore, con la neutrale curiosità di chi sa bene che prendere posizione è inutile, di fronte all’incarnazione di un assurdo che non ammette nome, perché preferisce circondarsi di fantasiosi giochi di parole, formule alchemiche,  arcaiche invocazioni. La gente lo teme e lo venera. Lo accetta e forse non ne potrebbe fare a meno. Un motivo in più per rivolgersi alla Chiesa, in una maniera che non impegna la coscienza, dato che richiede solo la passiva  ammirazione per l’ineffabile. Intorno alla manifestazione dell’inferno, si salda un rapporto che non è possibile decifrare, né tantomeno scardinare, intervenendo lucidamente dall’esterno, spogli di pregiudizi e privi di intenzioni strumentali. Il film di Federica Di Giacomo ci lascia così. Freddi e pieni di interrogativi. Integri e prudenti,  onestamente restii a criticare un mondo in cui, comunque sia, entriamo da  alieni ed ignoranti. 

 

scena

Liberami (2016): scena

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