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Split

Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film

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La recensione su Split

di rflannery
5 stelle

Thriller psicologico firmato da M. Night Shyamalan, regista de Il sesto senso ma da anni incapace non solo di replicare il successo del film con Bruce Willis ma anche di realizzare film discreti dal punto di vista della suspense e solidi dal punto di vista narrativo. Per chi scrive, eccezion fatta per Ilsesto senso, thriller insolito e di grande impatto, ci aveva convinto soltanto il buon metaforico e hitchcockiano The Village mentre troppi film del regista indiano sono imperfetti o del tutto sbagliati, a partire dal recente o al debolissimo After Earth o a L’ultimo dominatore dell’aria. Con Split il regista indiano vorrebbe tornare ai fasti del passato: un intreccio da thriller psicologico, un attore capace e riconoscibile, una narrazione tesa che cerca di sondare i misteri della mente con un  finale ad effetto. Il film però non mantiene tutte le premesse. E non solo perché alla fine di tutte quelle svariate personalità se ne mostrano tre o quattro in conflitto tra loro, ma per troppi momenti fragili o mal scritti.

Si parte dall’incipit molto efficace, con titoli di testa sparati a tutto schermo e una sequenza notevole: un padre che va a ritirare la figlia adolescente dopo una festa di compleanno. C’è una compagna un po’ ombrosa che se ne sta in disparte. Bisogna aspettare lo zio di lei, si dicono i personaggi in campo, che però tarda ad arrivare. Alla fine se la pigliano su e da lì inizia il thriller vero e proprio. Una bella sequenza sospesa che gioca con le attese dello spettatore un po’ disorientato: chi è il cattivo, chi il buono e che succederà. Entra in scena James McAvoy e da lì sono dolori, non tanto perché l’attore inglese non sia in gamba: anzi, pur penalizzato da un doppiaggio che appiattisce inevitabilmente le varie voci e inflessioni  McAvoy dimostra di avere carisma e buca lo schermo, per quanto sfoggi sin troppo mestiere. Il film è cucito tutto intorno lui. Il problema è che attorno a lui c’è poco o nulla: la sceneggiatura inserisce il personaggio di una dottoressa (la brava Betty Buckley, protagonista tra l’altro di un bell’omaggio a Hitchcock nella sequenza della mostra) ma la sua figura, penalizzata da un montaggio assai ripetitivo, sembra avere come unico scopo quello di spiegare la sindrome da cui è afflitto il protagonista agli spettatori giustamente spiazzati di fronte alle tante versioni del giovane; ora psicopatico, ora ragazzo fragile, ora addirittura ambigua figura femminile.

Non è però quello della coesione tra i tanti volti di McAvoy l’unico problema del film: le tre ragazze (tra cui si segnala la Anya Taylor-Joy di The Witch) sono protagoniste di tutta una vicenda thriller che convince poco sia in termini di suspense pura sia per quanto riguarda la definizione dei loro personaggi, piuttosto scialbi. E non aiuta certo una regia senza troppi guizzi e che non crea moltissimo nemmeno nelle lunghe sequenze claustrofobiche; il finale poi è terribilmente sopra le righe e inverosimile, e stona rispetto al realismo che aveva caratterizzato la quasi totalità della narrazione.

Cosa resta di questo film? Un buon attore alle prese con un ruolo complicato, qualche guizzo di regia e un’ultima immagine, omaggio inaspettato a uno dei film più celebri (ancorché imperfetto) di Shyamalan: Unbreakable.

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