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Satantango

Regia di Béla Tarr vedi scheda film

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La recensione su Satantango

di alan smithee
8 stelle

Satantango e’ il monumento di Bela Tarr alla fine di un regime che per lungo tempo, nel bene (se c’e’ stato) e nel male (che sembra impossibile non notare), ha assicurato almeno un sostentamento a migliaia di persone dedite all’agricoltura e alla pastorizia, ma che in seguito si sono trovate catapultate da un regime assistenziale di puro sostentamento ad una economia libera basata su quella iniziativa imprenditoriale a cui nessuno era mai stato abituato.
Nell’Ungheria post- comunista, un gruppo di contadini di una cooperativa comune ormai allo sbando, aspetta con impazienza i proventi della cessione della struttura in modo da spartirli con gli altri e trasferirsi in un territorio piu’ propizio ed accogliente. Non tutti sono allo stesso modo convinti di partire, ed alcuni gia’ meditano di intascare il riscatto della cessione e svignarsela ai danni dei piu’ deboli e disinformati. Il sospetto regna sovrano tra i disperati e, sotto una pioggia incalzante e senza tregua, tutta la pellicola si sviluppa in interminabili pedinamenti reciproci e sotterfugi tra disperati: e’ la guerra dei poveri , una lotta tra sopraffatti , che trovano nella bottiglia e in quel tango furente ed incessante l’unico svago per arrivare storditi all’alba della sospirata partenza verso un ignoto che comunque difficilmente puo’ immaginarsi peggiore della grigia, devastante realta’. Arriva anche un (falso?) messia, colui che sa parlare ed incantare la folla e che convince i malcapitati a seguirlo in cerca di fortuna, offrendosi altresi di gestire i denari del gruppo per l'affare che dovrebbe loro cambiare la vita. Ma il viaggio inizia con i piu' nefasti presupposti, acuiti altresi' dalla morte (per avvelenamento?) di una giovane ragazzina con problemi mentali.

Girato, come di consueto, in un bianco e nero che filtra alla perfezione la disperazione fisica e morale di un purgatorio dantesco senza via di fuga, il film di quasi otto lunghe ore si sviluppa in interminabili, ma  anche efficacissimi ed ipnotizzanti piani-sequenza che percorrono - di spalle o immediatamente avanti ad un attonito viso assorto in cui l’attore pare ti voglia comunicare il suo forte disagio e ti chieda persino aiuto - lo stesso infausto percosto senza meta dei  miserabili protagonisti di questa epopea senza redenzione. In alternativa la mdp si rivolge al paesaggio cupo e devastato da un diluvio senza sosta, al bestiame che la circonda e che si muove attorno  a lei con una straordinaria capacita’ coreografica che riesce difficile pensare lasciata al caso.
Il film si sviluppa in dodici capitoli, che sono strutturati (ma questa e’ un’ informazione che non sarei mai riuscito a notare da solo a causa di una mia completa disinformazione in materia di danze popolari) i primi sei in avanti, mentre la seconda meta’  seguendo un percorso organizzato a ritroso cronologico, secondo appunto quanto previsto dallo schema teorico del tango. Ognuno di essi e’ preceduto da un commento, una riflessione da parte di un io narrante dolente e rassegnato, che regala allo spettatore, gia’ inquieto dalla devastante spettralita’ dell’ambiente circostante, efficacissimi incipit del tipo: “Ad est il cielo va schiarendosi veloce come la memoria. All'alba, tende completamente al rosso sull'orizzonte scintillante. Come il mendicante del mattino arranca salendo i gradini della chiesa, il sole sorgendo da' alla luce l'ombra, cosi' quella terra e quel cielo, gli uomini e gli animali, emergono dalla disturbante e confusa unita' nella quale furono inestricabilmente avviluppati."


E proprio l'avviluppamento tra terra, animali e uomini da' un'idea efficace e drammatica di questo senso di schiacciamento ed impotenza che imprigiona in quella desolazione il gruppo di famiglie protagoniste.
Un film-monumento al fango e ad una pioggia sferzante che devasta ininterrottamente cose e persone: mai come in questa pellicola ci si rende conto di come un clima infido ed oltraggioso riesca ad influenzare in modo determinante una situazione di criticita’ ed angoscia, che neanche un tango trascinante, indiavolato ed ebbro riesce a scalfire.
Con questa imponente ed inquietante opera Bela Tarr pone le basi per quei capolavori (“The man from London” e il recente “Cavallo di Torino”) che caratterizzeranno il suo personale ed inimitabile percorso cinematografico di questi ultimi anni, e facendo dell'autore uno dei piu' coraggiosi e originali cineasti europei contemporanei. 



 

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