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Tetsuo

Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film

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La recensione su Tetsuo

di inthemouthofEP
9 stelle

"Tetsuo" è il primo lungometraggio di quel pazzo di Tsukamoto, un film disturbante, a tratti quasi insostenibile, che trova in un montaggio violentissimo e in una regia totalmente schizoide i suoi punti di maggior forza. Imperdibile.

C'è poco da fare: il cinema asiatico mi affascina ogni giorno sempre di più. Nella maggior parte dei film orientali riesco a trovare quello che ogni tanto mi sembra sia piuttosto deficitario nel cinema occidentale: emozioni, follia, libertà, sperimentazione, eccessi di ogni tipo mai fini a se stessi, ma soprattutto tanta, tantissima modernità.

Se molti prodotti occidentali specialmente degli ultimi 30 anni sembrano andare avanti col freno a mano tirato e - o almeno così mi pare - vivono nel terrore costante di superare alcuni limiti invalicabili, il cinema orientale se ne frega altamente di regole o limiti e non ha il benché minimo timore nel mostrare ciò che non si potrebbe mostrare, punta a sconvolgere lo spettatore con immagini forti e personalissime, senza mai dimenticare che un buon film per essere tale deve avere una regia e una sceneggiatura solida alle spalle. E con questo non voglio dire che il cinema orientale sia più bello di quello occidentale, no di certo: dico solo che osa di più, che lo trovo immensamente più innovativo, eccezionalmente più moderno.

E così accade anche in "Tetsuo", film giapponese del 1989 che ha ormai raggiunto lo status di cult imprescindibile per la metà dei cinefili del mondo, ma che è colpevolmente dimenticato dall'altra metà, un'opera senza dubbio disturbante e di non facile digestione, una cascata di idee che, con i suoi 67 minuti scarsi di durata, colpisce dritto allo stomaco e non si farà di certo dimenticare.

"Tetsuo" è il lungometraggio d'esordio di quel genio di Shin'ya Tsukamoto, qui regista, sceneggiatore, attore, produttore, montatore, scenografo e curatore della fotografia nonché factotum di prim'ordine, più noto al "grande" pubblico per la parte di Jijii in "Ichi the Killer" del non meno pazzo Takashi Miike.

La trama di questa sua opera prima è quanto di più malato si possa immaginare: un anonimo impiegato (Tomorowo Taguchi) investe accidentalmente un auto-feticista/masochista (Tsukamoto stesso) che si è appena infilato una sbarra di metallo arrugginita nella coscia, e da quel momento una maledizione sembra iniziare a perseguitare il povero automobilista, che piano piano inizia a trasformarsi in uno sconvolgente ibrido tra uomo e macchina.

Prima di iniziare la visione conviene sgombrare la mente, liberarsi da ogni pensiero e acconsentire a lasciarsi avviluppare dalle immagini, a lasciarsi catturare dalla potenza di questo evocativo bianco e nero, a lasciarsi possedere dalla follia che inizia a devastare la carne e la mente del nostro protagonista.

Le musiche sono martellanti, a metà tra l'industrial metal e il post punk, il montaggio violento e velocissimo, la regia totalmente imprevedibile, una regia che evade ogni regola accademica: Tsukamoto vuole stordire lo spettatore, e lo fa con scene sempre più surreali e intollerabili girate con tanta macchina a mano e tanta staedycam. Per tutta la sua durata il film sembra deformarsi, i primi piani raffigurano corpi sempre più corrotti e meno umani, la camera ora si ferma sui dettagli più raccapriccianti, ora si muove e inizia a ruotare sul proprio asse, ogni tanto sembra anche capovolgersi per dare allo spettatore la sensazione di precarietà del mezzo cinema stesso.

Tsukamoto gioca, si diverte, mescola soggettive di grandissimo impatto a un montaggio in fast motion che squarcia il cervello (grazie anche alla potenza di un sonoro eccezionale) e che dà l'impressione che i personaggi corrano a velocità insostenibile, quasi pattinando sull'asfalto.

Il film si muove agilmente fra diversi generi (horror, fantascienza, un pizzico di commedia, per poi arrivare nel finale a sembrare quasi un kaiju movie apocalittico alla Godzilla), in certi momenti pare addirittura un mockumentary, in altri la macchina da presa è così ferma e la messa in scena così algida da ricordare Kubrick.

Tsukamoto realizza un film moderno, incatalogabile, che incorpora al suo interno tantissime suggestioni, dal Surrealismo di Buñuel, al body horror di Cronenberg, al primo Lynch.

E proprio a Lynch sembra guardare con più insistenza il cineasta giapponese, che riprende da "Eraserhead" l'ambientazione quasi post atomica, questa fotografia così straniante e, più banalmente, la scelta stessa del bianco e nero.

Se da un punto di vista tecnico "Tetsuo" si avvicina al capolavoro, anche il resto non è da meno: gli attori sono tutti molto espressivi e, nella quasi totale assenza di dialogo, risultano credibili anche quando esagerano teatralmente le loro espressioni, un po' come succedeva nel buon vecchio cinema muto.

In più le invenzioni della sceneggiatura sono a tratti geniali: la trasformazione del pene del nostro protagonista in una trivella è qualcosa di così pazzo e schizoide che lascia basiti per la sua apparente semplicità, e la sorte che deve subire la fidanzata del nostro uomo-macchina durante l'amplesso è così truculenta da risultare sconvolgente anche per gli stomaci più forti come il mio.

E anche il binomio uomo-tecnologia su cui si regge l'intero film dà adito a molti spunti di riflessione. Che cos'è l'uomo se non un animale in lotta continua tra razionalità e pulsioni limitato dalla precarietà della carne? E che cos'è la macchina se non un involucro perfetto e indistruttibile privo però di una mente intelligente che la controlli?

L'uomo-macchina è perciò il pericolo più grande della nostra epoca, perché sostituisce alla fragile carne umana l'indistruttibilità della macchina, una sensazione di onnipotenza che porta alla più irrazionale sete di potere e alla vittoria delle pulsioni sulla ragione: Tsukamoto utilizza il binomio uomo-macchina non solo per mostrarci un uomo che viene penetrato da un tubo di metallo e altre cose simili, ma soprattutto per avvertirci del pericolo che l'umanità corre se si affida totalmente alla tecnologia, che alla fine arriverà a dominarci e a esasperare la nostra pazzia, conseguenza: la fine dell'umanità.

E io, guardando al mondo di oggi e a come sempre più persone (non solo ragazzi) siano prigionieri di telefonini e social vari, capisco che Tsukamoto ci aveva visto lungo: per dirla in termini fichtiani, la tecnologia è un Non-Io che sta prendendo sempre più il posto dell'Io, e gli effetti di questo processo potranno essere a dir poco devastanti.

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