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Roma

Regia di Federico Fellini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Roma

di yume
8 stelle

Roma per Fellini era l’utero materno, caldo e protettivo, la sua vera casa.Un epos colorato, turgido, caotico, cialtrone e innamorato, è questa celebrazione di Roma, donna desiderata, amata, posseduta.

Roma per Fellini era l’utero materno, caldo e protettivo, la sua vera casa.

Arrivato in quella fase della vita in cui si passa in rassegna il proprio passato con sguardo decantato e curioso e perché no? anche divertito, si rileggono i capitoli già scritti e ci si guarda vivere col distacco necessario e la partecipazione consapevole.

 Nel 1972 Fellini capitoli ne aveva scritti molti, ma soprattutto aveva assorbito in modo viscerale l’humus di quella città che, nel bene e nel male, è sempre stata una metafora del mondo.

La Roma di Fellini fu quella sorta di incunabolo di tutti i beni e i mali d’Italia che dopo vennero a maturazione e dilagarono, soprattutto i mali.

Nel trentennio fra gli anni cinquanta e i settanta la città era uno strano miscuglio levantino e cosmopolita, reale e illusorio, la Roma ipocrita e lussuosa dei Papi e quella vitale e variopinta dei varietà e dei bordelli, degli artisti di P.za del Popolo, di Gadda e Pasolini, di Parise e Giosetta Fioroni, la Roma becera e magnarona delle hostarie in Trastevere e al Testaccio, degli abbacchi e del cacio e pepe, dei marchettari in sosta fra Termini e Massenzio e dei giardini delle rose, corona di pii chiostri silenziosi sui colli più verdi.

Prima di allora era stata la capitale del Fascio, e Fellini la vide ma ne restò estraneo, il Fascismo si riflette nelle straordinarie visioni della sua vita infantile di provincia e Amarcord ne fu il canto.

Dopo quel trentennio, Roma ha subito la sorte di tante città europee globalizzate, assediate da turismo usa e getta, incapaci di difendere la propria immagine, rese irriconoscibili da metastasi devastanti.

Gli anni di Fellini furono quelli in cui di tante malattie si avvertivano i sintomi, come si potesse chiamare dolce quella commedia umana senza lieto fine è cosa che solo i miracoli dell’arte permettono, ma fu la “sua” Roma, quella che visse goccia a goccia, di giorno e di notte, e seppe trasfigurare in arte.

Forse al Marc’Aurelio in Campidoglio dovrebbero sostituire una statua sua, ma lui si farebbe un sacco di risate.

 

Sul finire di quella straordinaria epopea, Fellini elaborò il suo poema su Roma con un film intitolato col suo stesso nome, film straordinario ma poco acclamato, certo meno noto degli altri, e ne capisce il perché solo chi di Roma conosce miseria e nobiltà, sfrontatezza postribolare e chiusure monacali. Roma si rivela a chi sa conoscerla e amarla con tutte le sue contraddizioni, al resto del mondo non rimane che guardarla come un glorioso mistero da osservare guardinghi.

Un epos colorato, turgido, caotico, cialtrone e innamorato, è questa celebrazione di Roma, donna desiderata, amata, posseduta.

Diviso in blocchi con continue analessi e sezioni sul presente, il primo è l’iniziazione infantile al mito di Roma.

 

Roma nell’immaginario infantile

Un Preside severo e tonitruante, col fazzoletto annodato in testa per ripararsi dal sole, porta i ragazzini e la maestra dalla voce chioccia ad attraversare il Rubicone, e da Rimini il passo è breve.

Lui si esalta, i monelli sgavazzano come disperati, la maestra ruota la bacchetta urlando,ma intanto la Roma dei Cesari tesse le sue trame di sirena tentatrice.

Bambini, vi piace Mussolini? Come il Cesare romano fa il saluto con la mano ” bercia sotto i portici con scivoloso accento romagnolo l’ubriacone ai bambini, fermi mentre nevica a guardare la statua loricata di Augusto imperatore col braccio mutilo rivolto in alto.

Fra “alea iacta est” e “anche tu Bruto” visto a teatro il destino del piccolo Federico è segnato.

Il reverendo maestro dal forte accento marchigiano fa sfilare diapositive con la Lupa del Campidojo, la tomba de Cecija Metella sull’Appia andica, l’Arco de Costandino, l’Aldare de la Patria (applausi, fa niente se arriva secoli dopo), San Pietro, il maggior tembio de Sanda Madre Chiesa … e poi quasi gli viene un coccolone perché qualcuno ha infilato fra le diapositive il gran culone di una bella signora seduta di spalle. I ragazzini saltano su impazziti, il Preside intona:

Sole che sorgi libero e giocondo
sul colle nostro i tuoi cavalli doma;
tu non vedrai nessuna cosa al mondo
maggior di Roma, maggior di Roma!
“ e il destino della Patria è consumato.

Federico ora sa dove andare a vivere, a casa tutti in ginocchio la domenica a pranzo per la benedizione del Papa alla radio, le campane festose di San Pietro entrano in tinello, il padre socialista urla e bestemmia, ma Roma è lì, bisogna andare.

E poi i peplum? File per entrare in sala, si stava anche in piedi e i nomi di Priscilla e Poppea, Marco Tullio e Spartaco divennero famigliari come quelli dei compagni di banco, l’amore trionfava anche nell’arena mentre i gladiatori infilzavano l’avversario col tridente come se afferrassero una salsiccia allo spiedo. E pazienza se toccava sorbirsi la Settimana Incom con le prodezze di sua eccellenza Scipione de Carolis e gl’indomabili destini della Patria imperiale, ci si consolava guardando due file più avanti la moglie del farmacista che aveva fama di novella Messalina, con i suoi neri occhi voraci.

scena

Roma (1972): scena

Roma impregna di sé l’immaginario infantile, non resta che andare a scriverne la storia.

Su quel treno a vapore con la scritta “Roma” sul fianco, arrivato sbuffando in stazione fra le galline che razzolano sulla banchina, s’imbarcherà ben presto il giovane Federico non ancora ventenne.

 

L’arrivo a Roma

Federico (Peter Gonzales) è “ il signorino” che arriva nella pensione della famiglia Palletta al quarto piano senza ascensore e si guarda intorno incantato, nulla riesce a scandalizzarlo, a respingerlo, è un mondo lurido e selvaggio che lo affascina. Comincia così a nascere la galleria dei suoi personaggi indimenticabili.

L’elegante vestito di lino bianco e le scarpe lucide vengono da lontano, l’accento è diverso, ma quella Suburra è il set su cui doveva prima o poi arrivare il nuovo Petronius arbiter, e di quel mondo parlerà sempre, i suoi film sono visioni d’insieme e variazioni sul tema di cui è protagonista, anche se mascherato sotto altri volti.

 

Trent’anni dopo

In Roma Fellini appare di persona in alcuni frammenti.

 

Nel primo, trent’anni dopo i fasti degli anni d’oro, è con una troupe a far riprese sul GRA, un posto oggi irriconoscibile e alienato dove traffico allora non mancava, ma si poteva incontrare anche un cavallo che correva a briglia sciolta, un carretto a mano s’intrufolava tra le macchine, la gloriosa 500 dominava la scena, si litigava fuori dai finestrini, “te faccio un culo così’, accompagnato da gesto eloquente, la tifoseria del Napoli scriveva “Romani ricchioni” sul pullmann, ma non ci scappava il morto, e tra pozze d’acqua alimentate dalla pioggia che a Roma, si sa, piove di più, prostitute quasi a ridosso del guardrail e varia umanità tenuta a bada da polizia stradale in motocicletta, si consuma un giro sul Sacro GRA che qualcuno, anni dopo, ha tentato goffamente di imitare.

Con la troupe si passa a Villa Borghese, gli operatori riprendono dall’alto panoramiche e curiosi, le battute non mancano: “Che riprendi?” “Gente che lavora, traffico”, “Ah, allora se è gente che lavora è n’altra città”, ma poi si avvicinano gli studenti, quelli seri e impegnati figli del ’68, e chiedono a Fellini se farà un film che parli di lavoro, borgate, fabbriche, non i soliti stereotipi sulla città sciatta e pacioccona e bla, bla, bla…

Lui sorride impacciato, “ Io credo che si deve fare solo ciò che ti è congeniale”, ma poi c’è un opportuno stacco di scena e speriamo si sia liberato presto da quelle grinfie.

Al teatrino della Barafonda si sta senz’altro meglio e così ne ricostruisce uno com’era nei primi anni della guerra. Succede di tutto al varietà, “Un punto d’incontro tra Circo Massimo e casino, perfino Proust nella Recherche fa una lunga descrizione di una casa di piacere” spiega un dotto esegeta, e tra pubblico e attori non si sa chi reciti meglio. Al povero Alvaro Vitali ne “l’ora del dilettante” lanciano perfino un gatto morto mentre imita Fred Astaire. Gli energumeni della platea in canottiera si calmano solo ai gorgheggi del simil Trio Lescano.

Ma la notizia dello sbarco alleato in Sicilia ferma tutto, ma vinceremo e il Duce trionferà, e con Maramao perché sei morto riprende la musica fino a Sposi, oggi si avvera il sogno e siamo sposi, quando la commozione trabocca incontenibile finchè l’allarme aereo svuoterà la sala mentre la soubrette tanto amata e desiderata volteggia .

 

L’opera infinita: la Metropolitana e i ritratti della Principessa Domitilla

La meraviglia della scoperta della casa romana affrescata di 2000 anni fa durante gli scavi per la metro supera ogni brutta polemica sull’opera infinita, continuamente bloccata dalla Sovrintendenza. Quelle stupende figure, i loro visi intensi, al contatto con l’aria cominciano ad impallidire fino a sparire, ma poi sembrano ricomparire nei ritratti sontuosi, chiusi in pesanti cornici dorate, dell’antico palazzo patriziodella Principessa Domitilla, luogo di ombre e di devoto raccoglimento intorno all’arrivo del Cardinale, che coagula una bella fetta del patriziato romano accreditato in Vaticano. Mentre il Cardinale beve la sua menta e tace dopo aver gigioneggiato non poco, i pensieri di donna Domitilla hanno libero corso e rimpiangono la vecchia Roma che non c’è più, quando si davano belle feste, l’amicizia con la Chiesa era forte e il palazzo era pieno di cardinali.

 

 

La sfilata di moda ecclesiastica.

Ma silenzio, inizia la sfilata di moda ecclesiastica.

scena

Roma (1972): scena

E’ un tuffo nella comicità più pura, la capacità magistrale di Fellini di castigare ridendo mores qui tocca un apice.

Separate qualunque oggetto, come un particolare uomo, un cavallo, una rapa, un barile di farina, un ombrello, dalla connessione delle cose, e contemplateli da soli, stando lì nell'assoluta natura, e tutt'a un tratto divengono comici; nessuna qualità utile, rispettabile, può salvarli dal ridicolo.” diceva Emerson nella sua teoria del comico, e quell’apoteosi di lusso sfrontato ammirato da una platea commossa di cardinali, suore e mummie patrizie, residui archeologici della Roma papalina, culmina nell’apoteosi del Papa in soglio abbigliato con lusso sfrenato, rappresentazione insuperabile che farebbe risvegliare il buon Lutero dalla sua tomba.

 

Il bordello

Sarà stato un caso? Fra i due blocchi della metropolitana e della Principessa Domitilla è stata infilata la lunga sequenza del bordello, ricordo del tempo che fu prima che le case fossero chiuse e le strade delle periferie si riempissero di fuochi e magnaccia.

 

La Festa de Noantri

Seminascosto fra la gente riappare Federico. Brizzolato e sorridente, forse un po’ stanco, non è più il giovane bruno e scattante che voleva portare a pranzo fuori la prosperosa prostituta. Poco male, gli stornelli romani danno tanta allegria e il Tevere sotto i ponti al tramonto è sempre uno spettacolo da non perdere.

 

Quella festa riscoperta negli anni settanta da secoli lontani, la festa della Madonna Fiumarola, voleva essere l’antidoto al clima ferrigno degli anni di piombo e il tentativo di riportare in strada la gente, sottraendola al dominio della televisione in una ricerca di sana socialità che in Italia era l’impresa più titanica.

Il tentativo fallì e declinò nel decennio successivo, la Milano da bere prese il suo posto.

Ma intanto tra porchetta e palloncini, canti, luci e saltinbocca si sogna e rinasce la vecchia Roma buona e pacioccona.

Quanto sei bella Roma canta Lando Fiorini e gli rispondono i tifosi del buon vino de li Castelli, quand’ecco all’improvviso ad un tavolo spunta Gore Vidal:

“Perché vivo a Roma? Perché mi piace i Romani, che no se frega niente se sei vivo o morto, sono neutrali, come i gatti. Roma è la città delle illusioni, non a caso qui c’è la chiesa, il governo e il cinema, tutte cose che producono illusione, come fa tu, come fa io, e quale posto migliore di questa città morta tante volte e tante volte rinata, quale posto più tranquillo per aspettare la fine da inquinamento, sovrappopolazione, è un posto ideale per vedere se tutto finisce o no”.

E con questa lungimirante valutazione dei pregi della vita romana Fellini se ne va in giro fino a tardi e quando il chiasso tace vede rincasare niente meno che l’icona assoluta di Roma, Anna Magnani.

 

Questa signora che rientra a casa costeggiando il muro dell’antico palazzetto patrizio è un’attrice romana, Anna Magnani, che potrebbe essere anche il simbolo della città, una Roma vista come lupa e Vestale, aristocratica e stracciona, tetra, buffonesca, potrei continuare fino a domattina … “

Lei sorride con la sua bella faccia divertita “Che so’ io ? A Federì, va’ a dormì va’”.

“Posso farti una domanda?” insiste Federico.

“No, nun me fido, ciao, bonanotte!”.

 

E alla fine arrivarono i Proci

Metropoli frammentata e policentrica, mescolanza di onirico e di materico, “contemplazione curiosa” è lo sguardo di Fellini sul mondo(Stefania Miccolis, Federico Fellini e la Spagna, 2013) e questo su Roma riassume tutta la sua capacità di leggere la realtà con il potere della fantasia.

scena

Roma (1972): scena

E così nel finale è ancora lei, Roma, il grande utero materno, capace di abortire anche mostri ripugnanti come i centauri rombanti su moto di grossa cilindrata, che scorrazzano di notte per strade e piazze eterne quasi schiantandosi contro i marmi antichi.

Il giro di Roma si chiude, il Colosseo veglia inorridito le gesta dei nuovi Proci, non arriverà Odisseo a salvare Penelope e gli occhi si chiudono canticchiando malinconicamente: Quanto sei bella Roma quanno è sera…

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