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Non si uccidono così anche i cavalli?

Regia di Sydney Pollack vedi scheda film

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La recensione su Non si uccidono così anche i cavalli?

di LorCio
10 stelle

Il sogno americano nacque nella notte degli incubi, che fu lunga quanto la depressione di un popolo alle prese col proprio fallimento economico, morale ed esistenziale. La metafora del ballo è quantomeno ovvia, così come ovvia è l’immensa inquietudine che attraversa uno dei film più belli e malati (dimenticati?) della New Hollywood: ballare fino a morire per la possibilità di una vita migliore e subire le ingiustizie di una perversione a cui ci si è sottoposti per necessaria volontà. La possibilità di una via d’uscita non c’è perché la claustrofobia è una scelta e una condizione per prendere parte al gioco della vita e della morte, al suono di una musica martellante ed infinita, sullo sfondo di una nazione che ha perso la speranza del futuro e si rimette al volere del destino attraverso la resistenza al dolore e alla fatica.

 

L’importante, nella società dello spettacolo che sta germogliando nella coscienza di un popolo votato alla comunicazione, è che il pubblico pagante si diverta di fronte ai corpi sfiancati e devastati di coloro che concorrono alla vittoria del premio in palio. Ad orchestrare ogni cosa c’è l’ambiguo e cinico Rocky, speaker ed organizzatore di una maratona in cui vince chi sopporta più a lungo il sudore, la stanchezza e la sofferenza: è lui a combinare le coppie, a convincerle a restare o ad abbandonare, a riportarle sulla retta via, a gestirle come marionette in un triste teatrino.

 

È un ruolo con cui Gig Young vinse un Oscar come miglior attore non protagonista, grazie pure ad una seconda parte in cui almeno in due occasioni è bravissimo (la doccia persuasiva e il dialogo in penombra). È Rocky a manovrare ogni cosa, a declamare l’epica dei caratteri come in un qualunque reality contemporaneo (ci sono il giovane lavoratore, il vecchio militare, la donna perduta, la ragazza sconfitta per eccellenza e così via), a decretare la fine di ognuno di loro, a sottolineare con una sola variazione del tono di voce il mutare degli eventi. Sydney Pollack dirige con la maestria dei suoi trentacinque anni (con all’attivo lo splendido Questa ragazza è di tutti) un film malato ed imperfetto in cui nonostante i difetti (che risiedono principalmente nel disegno di alcuni caratteri) si resta coinvolti ed affascinati per nervosismo ed ansia, dolore e partecipazione. Jane Fonda si prepara a diventare un’icona sociale, mentre Red Buttons e Susannah York portano a casa due partecipazioni importanti.

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