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I magnifici sette

Regia di John Sturges vedi scheda film

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La recensione su I magnifici sette

di scapigliato
8 stelle

Si dice che "I Magnifici Sette" sia lo spartiacque tra western classico e western moderno-revisionista. Sicuramente i toni sono meno elegiaci, e sicuramente si intravede un primo abbozzo di quella demitizzazzione operata più avanti da Peckinpah e Eastwood. Il "Noi perderemo sempre" di Yul Brinner alla fine del film, è quasi un manifesto di questa nuova direzione che prenderà il cinema western americano dal 1960 in avanti. Importante è anche l'ambientazione messicana. Non che prima non ci fosse, ma sicuramente era meno presente e meno incisiva. Adesso basta con i grandi pascoli e gli indiani, il vero westerner vuole e cerca il deserto e i messicani. Sempre restando in territorio americano, è forse il cinema di Peckinpah a sterzare con forza verso il nuovo western a stelle e strisce. Se con "Sfida sull'Alta Sierra" del '62 filmava e firmava l'atto di morte del western classico ("The Deadly Companions" è ancora molto classicheggiante e del '61), con il successivo "Il Mucchio Selvaggio" del '69 il lungo e placido treno del western americano deraglia irrimediabilmente verso tutta un'altra forma estetica, narrativa e mitica. Oggi molti registi sono tornati al classico fatto bene, come Costner, e altri (la maggior parte) al western tradizionale e posticcio come i vari "American Outlaw" e "Texas Rangers", oppure hanno omologato il western ai gusti estetici e di contenuto del momento togliendogli la sua specificità. Ma c'è anche chi fa ancora oggi i western migliori ovvero tale Eastwood che purtoppo è fermo al '92 de "Gli Spietati". In definitiva, dire che il film di Sturges sia il primo esempio del nuovo corso western americano è esagerato. Bel film, solido, divertente, con un cast all stars, che all'epoca non erano proprio tanto stars, come Charles Bronson sdoganato dalle parti di contorno dei film precedenti, James Coburn e soprattutto quel Steve McQueen che sul set si considerava più divo di Yul Brinner. C'è Eli Wallach nelle vesti del cattivo che gigioneggia quel tanto che lo porterà a vestire i panni di Tuco nel leoniano "Il Buono, il Brutto, il Cattivo". E va precisato che la vera rivoluzione western è quella iniziata, forse anche inconsapevolmente, proprio da Sergio Leone con "Per un Pugno di Dollari" nel '64 in quel di Almeria, Cabo de Gata.
Il film di Sturges è comunque un bello spettacolo, e azzerderei dire un bello spettacolo ancora classico nella sua struttura fondamentale. Ci sono anche diverse letture intorno alla condizione di inferiorità dei peones che non sanno scegliere e avrebbero bisogno di uno che li dica cosa fare, come appunto il Calvera di Eli Wallach. Ci sono i pistoleros ribelli senza causa, che li aiutano senza l'abbaglio nè di oro nè d'argento, ma solo per il senso di umanità e di giustizia evidente fin dalla prima bellissima sequenza del carro da morto. In più c'è una abbastanza profonda riflessione sul loner, che in futuro Peckinpah codificherà meglio, come i nostri spaghetti-western e i successivi film di Eastwood. Una riflessione che appunto non viene approfondita più di tanto, e che rimane appiccicata alla bidimensionalità del film. Anche l'azione a volte risente di qualche inciampo. Ma non per questo "I Magnifici Sette" è un film minore di altri. Rimane un bell'esempio di western solido di vecchia scuola.

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