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Io e Annie

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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mise en scene 88

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La recensione su Io e Annie

di mise en scene 88
10 stelle

In un'analisi su Io e Annie di Woody Allen, sarebbe interessante approcciarsi al titolo provvisorio del film, poi scartato, in quanto inadeguato o forse troppo complesso e retorico.
Anedonia (termine perfetto per una tragedia greca), è così che doveva intitolarsi il primo film maturo dell'esperienza alleniana. Anedonia è uno dei termini più diffusi nel vocabolario psicanalitico e psichiatrico. Esso sta ad indicare l'incapacità di una persona a provare qualsiasi tipo di piacere (alimentare, sessuale, sentimenale, emotivo...). Il tema della perdita del piacere, per quanto sottile e impercettibile, è centrale nel diegesi del film e probabilmente in tutta la filmografia del regista newyorkese.


Bisogna tenere ben presente che negli anni settanta, la teoria cinematografica è particolarmente attenta al tema del "piacere" (visivo) nel cinema. In particolar modo esso si esprime nel contesto del Femminist Film Theory (FFT) e nelle teorie sul cinema classico americano, sviluppatesi entrambe nella metà degli anni settanta ed in parte rifatte ad alcuni studi del filosofo e psichiatra francese Jacques Lacan. Ed è qui che diventa importante citare il saggio di Laura Mulvey,Piacere visivo e cinema narrativo, pubblicato nel 1975. Come ha ben spiegato Veronica Pravadelli in La grande Hollywood, " Laura Mulvey ha teorizzato la centralità dello sguardo nell'esperienza cinematografica: ovvero, lo sguardo è il vettore del funzionamento dell'apparato, del rapporto spettatore/schermo e delle dinamiche diegetiche del testo filmico... In primo luogo, il piacere visivo dell'esperienza cinematografica si fonda sull'attivazione di due pulsioni contraddittorie del guardare , il voyeurismo e il narcisismo. Queste dinamiche, tuttavia, non sono ugualmente disponibili per lo spettatore e per la spettatrice, in quanto il cinema classico ha iscritto la differenza sessuale nelle sue strategie retoriche e, conseguentemente, nell'esperienza spettatoriale... Il cinema classico è costruito per il solo piacere dello spettatore maschile: se l'identificazione è il riconoscimento di sé nell'immagine del proprio simile, è chiaro che, poiché è il personaggio maschile a dominare la scena, con l'azione e lo sguardo, solo l'uomo in sala potrà identificarsi con l'eroe." Come ben capiamo quindi, nel classicismo cinematografico, il piacere dell'identificazione e quindi dello sguardo è concesso solamente all'uomo. Ma allo stesso tempo la Mulvey, afferma che il "cinema classico in realtà permette alla spettatrice di identificarsi con l'immagine cinematografica... solo in virtù della regressione della fase pre-edipica. In questo caso il cinema permetterebbe alla donna di riscoprire quel "piacere perduto".


"La perdita del piacere" di Io e Annie è qualcosa di più complesso e ha che vedere non più con la classicità americana bensì con la sua modernità. Nel cinema moderno americano, lo spettatore diventa parte integrante del racconto narrativo, inoltre, la differenza spettatore/spettatrice diventa impensabile, in quanto il punto di vista non è più privilegio di un eroe maschile. I punti di vista nel film si moltiplicano e lo spettatore si libera finalmente delle modalità maschiliste del cinema classico. Lo spettatore viene ora chiamato in causa più volte non tanto a giudicare gli eventi, bensì diventa complice del protagonista, l'amico più fidato, l'ascoltatore per eccellenza cui il protagonista può fare affidamento. Ed è proprio quest'ultima affermazione ad essere centrale nel film di Woody Allen, che vuole a tutti i costi qualcuno che gli dia ragione, pretende che lo spettatore si identifichi con lui e lo fa attraverso quello che Christian Metz chiama " funzione d'orientamento" per lo spettatore da parte di un personaggio-narratore che "sa e fa sapere (focalizzazione mentale)", "sente e fa sentire (focalizzazione uditiva)", "vede e fa vedere (focalizzazione visiva)" e infine "vede e sente e fa vedere e fa sentire (focalizzazione audiovisiva)". Tecnicamente, questa sorta di incanalamento dello sguardo e quindi del piacere visivo, a scapito dello spettatore, è data dal frequente uso del personaggio - narratore (Woody Allen) di parlare "in macchina" da presa. Il fatto che tale privilegio, però, viene (auto)concesso al solo protagonista del film ci di-mostra come Allen sia interessato in fin dei conti a parlare esclusivamente di se, della sua crisi di mezza età e del suo rapporto deludente e "castrante" con le donne. L'instabilità emotiva, i matrimoni falliti, il rapporto contrastato con Annie Hall, fanno di Alwy Singer (Woody Allen) un personaggio ai limiti della depressione, una persona ormai incapace di provare "piacere" dalla vita. Il massimo che il personaggio-narratore si concede e concede al piacere dello spettatore è di guardare al passato, ricordarlo con romanticismo e ironia , come gli ultimi frame del film che riassumono la storia d'amore tra Alwy e Annie.

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