Dice, lo smemorato, che brutte faccende del genere (quelle riguardanti guerre e confini) non succedevano da un sacco di tempo nella cara vecchia Europa, dove storicamente i campi si fanno riposare a maggese e/o con il sangue dei caduti; e, oh mio dio!, chi se l’aspettava questa cosa che oggi sta infuriando nel nostro perfetto orticello continentale. Anime belle e pie, abituate molto bene grazie a una manciata di generazioni in cui la saturazione post-Guerre mondiali ha fatto dire un po’ a tutti «Pausa in Europa? Pausa in Europa». Eppure, nonostante tutte le distrazioni e i refresh della pagina di Amazon per vedere se la Playstation 5 è tornata disponibile, esiste e resiste ovunque questa atmosfera di oblio ricorsivo e collettivo che ci fa reagire con stolido stupore quando poi tornano a succedere. sempre. le. stesse. cose.
Dev’essere una tara mentale. O un meccanismo di difesa. Perché, alla fine e invece, a fare nemmeno troppa attenzione ci si ricorda che un sacco di persone si impegnano molto per tenere viva la memoria, nella speranza che un’operazione del genere aiuti a non dimenticare. A proposito di guerre in Europa, per fare il primo esempio che viene in mente, l’ultimo fulgido promemoria l’ha regalato l’autrice bosniaca Jasmila Žbanić con il suo Quo vadis, Aida?, a imperitura memoria del massacro etnico di Srebrenica e del conflitto che ha portato a quella barbarie.
E a proposito di confini e di strascichi dei capricci per cui una manica di potenti hanno smaniato decenni prima, invece, il 15 marzo del 1991 è il giorno in cui il lungo percorso di riunificazione di Germania Est e Ovest arrivò finalmente a conclusione: in tal dì, gli accordi del Trattato sullo stato finale della Germania entrarono finalmente in vigore, garantendo piena sovranità alla nuova/vecchia Repubblica Federale di Germania. Come abbiamo fatto a dimenticarci che, fino a poco più di trent’anni fa, a un tiro di schioppo da casa nostra c’era un paese diviso da un muro letterale e simbolico, conteso fra NATO e blocco sovietico in un braccio di ferro fra micropeni? Il Trattato di cui sopra, peraltro, è uno dei documenti che l’UNESCO ha deciso di inserire nella Memoria del mondo, un programma fondato nel 1992 «volto a censire e salvaguardare il patrimonio documentario dell’umanità dai rischi connessi all’amnesia collettiva, alla negligenza, alle ingiurie del tempo e delle condizioni climatiche, dalla distruzione intenzionale e deliberata. Il programma ha come obiettivi: facilitare la conservazione dei documenti, favorirne l’accesso universale e aumentare la consapevolezza diffusa dell’importanza del patrimonio documentario». Eppure. Siamo qui a sorprenderci quando succedono certe cose, che sono così umane e insensate da far venire i crampi al cervello.
Non c’è solo il Trattato inserito nella Memoria del mondo: quel momento storico è stato inevitabilmente immortalato anche dalle varie arti. C’è soprattutto un film del 2003 che, nonostante abbia addosso un fiato di grigiore cinematografico e debba sottostare ad alcuni tassativi da narrazione intesa per il circuito commerciale, ha azzeccato talmente bene il discorso sulla memoria (tanto storica quanto personale) da meritarsi un posticino nei cult di inizio nuovo millennio. Innanzitutto, il protagonista della tragicommedia Good Bye, Lenin! è l’eccellente Daniel Brühl, che per mancanza di perifrasi migliori potremmo esaltare definendolo il “Pierfrancesco Favino di Colonia”.
In Good Bye, Lenin! Brühl interpreta Alex, uno dei tanti giovani della Repubblica Democratica Tedesca che, nel tardo 1989, fa infuriare le proteste di piazza contro il governo socialista e in favore della riunificazione del paese. Sua madre Christine, però e invece, per colpa di un passato personale particolarmente traumatico è una fervente attivista pro-regime. I due sono agli antipodi della stessa piazza che, il 7 ottobre ‘89, da una parte festeggia i 40 anni della DDR, mentre dall’altra contesta il governo. Christine assiste al pestaggio della polizia ai danni di Alex: la scena le provoca un infarto gigante che la fa entrare in coma. Nel frattempo la Storia va avanti, il Muro di Berlino cade, le trattative proseguono e i due blocchi opposti decidono di riunire il paese diviso, con l’obiettivo di arrivare pacificati e sereni a quel 15 marzo 1991 in cui la Germania sarebbe tornata ad avere la sua sovranità.
Quando si sveglia dal coma, otto mesi dopo l’incidente, Christine non ha contezza di ciò che è successo, e Alex non ha il coraggio di indebolire ulteriormente la madre rubandole il sogno di una Germania socialista. Il giovane decide di mettere in piedi un microcosmo domestico, in cui la Storia non è mai andata avanti e il Muro è ancora in piedi a fare il suo lavoro simbolico. Il film ci racconta che una pantomima del genere non può funzionare. Che la memoria non va (e non può essere) soppressa, anche quando mantiene in vita i ricordi più dolorosi e infami. La permanenza della memoria dovrebbe servire a non ripetere più gli stessi errori, dicono le persone che cercano di mantenere una prospettiva. E invece ci ritroviamo, come sempre, a commentare i giochi fatti con stupore e indignazione. Come se servissero a qualcosa.
Il film
Good bye Lenin!
Commedia - Germania 2003 - durata 121’
Titolo originale: Good bye, Lenin!
Regia: Wolfgang Becker
Con Daniel Brühl, Katrin Saß, Mária Simon, Chulpan Khamatova
Al cinema: Uscita in Italia il 09/05/2003
in streaming: su Rakuten TV
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