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VIRUS. LA FINE DEL CINEMA ?
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QUALCHE ESTATE FA

Era l'estate del 1980: quarant'anni fa e non lo diresti.

Oggi non sappiamo se ci sarà un'estate, quest'anno.

 

Io di anni ne avevo sedici, e cantavo. Cantavo in inglese: Beatles, Rolling Stones su tutti e poi pezzi diversi, tra i quali non mancavano certo “Another brick in the wall” e “The knack”. Il nome che avevamo scelto era d'effetto: “The Black Lilies”; andammo avanti così per un po', fin quando arrivò il manager: Elio e tralascio il cognome. Ci ripulì, lavorò sulla batteria, lasciò che io suonassi il basso e facessi la prima voce - “...perché, Sting dei Police che fa?” ma per me era faticoso, acci se lo era - e adattò il nome : “black” era forte, ci disse. Divenimmo “The lilies”, con la “l” minuscola. A quel punto, l'idea sporca dei gigli neri che mi sembrava profumasse di una dimensione internazionale, acquistò una sensazione provinciale ma tant'è: Elio procurava le serate e io avevo bisogno di guadagnare. Solo che se prima si cantava in inglese (ed avevo pure una discreta pronuncia, come un giorno un interprete di origine anglofona anche se penso che all'epoca non erano poi così tanti ad esprimersi con la lingua della regina Elisabetta e molti meno di me conoscevano i “Sex pistols”), adesso si cantava in italiano. E, anzi, all'occorrenza in dialetto: alle feste di piazza, oltre a fare da supporter per quelli famosi (almeno prima ci si sfogava con i Pooh), c'era da fare il verso a Gianni, Massimo, Claudio, Francesco, talora anche Riccardo, Pino, persino Lucio! E soprattutto Peppino.

Tu luna luna tu luna caprese

ca faje sunnà l'ammore a 'e nnammurate,

adduorme 'a nenna mia ca sta scetata

e falla 'nnammura' cu na buscia

Già, la luna, che vista da Tragara non ce n'è un'altra uguale nel mondo.

Però, fu allora che uno di noi mise sul piatto – tutti avevano lo stereo con le casse, ai tempi – quel pezzo, uscito da poco. E si tornò a sognare. Uno di noi, un supporter sbancò le classifiche! Ce l'avremmo fatta anche noi: era solo questione di tempo.

Luna non mostri solamente la tua parte migliore

Stai benissimo da sola sai cos'è l'amore

E credi solo nelle stelle

Mangi troppe caramelle

La luna sporca, la luna sopra di tutti, la luna poesia. A questo punto, dovevo capire perché. Ma non ebbi tempo: tre anni dopo, forse 4, il tempo della musica era finito. Anche se era iniziato quello del cinema.

Ma poi perché penso tutto questo ? E perché adesso ? Solo perché sono in questa stanza chiuso per la quarantena, imposta, subita, neppure compresa aspettando di riprendermi la mia vita ? E poi, quale sarebbe la mia vita ? Oggi mica lo so tanto bene.

CINEMA DELLA PANDEMIA

La manifestazione e diffusione del virus denominato Sars-CoV-2, che quasi sicuramente segnerà un “prima” e un “dopo” nel mondo, sta imponendo ovunque nuove abitudini: il cosiddetto distanziamento sociale, 1 m di distanza per ogni individuo fuori da casa sua, l'obbligo di mascherine di protezione sanitaria e l'utilizzo di guanti in lattice, insomma, ci terrà a lungo compagnia. E se si può ipotizzare che, con nuove misure, molte attività riprendano con diversa modulazione il proprio percorso, non è così semplice immaginare un cinema nuovo.

Prendere un caffè in un bar restando, almeno per i minuti necessari, l'unico avventore o recarsi allo stadio avendo il collega tifoso ad un metro, pur se può sembrare fantascientifico, è di fatto possibile. Certo, si ridurrebbero consumi e clienti ma almeno non si assisterebbe ad una chiusura generalizzata dei luoghi di ritrovo. Per le sale cinematografiche non è verosimile: intanto, poche strutture hanno un numero così grande di posti a sedere tali da reggere l'urto di quasi il 70% di biglietti in meno staccati, dato reso necessario dal metro di distanza richiesto per la fruizione dell'evento; poi, e forse soprattutto, perché i costi superano di gran lunga i benefici.

Ma prima di tutto questo bisogna chiedersi: sarà possibile tornare a fare cinema in tempi brevi ? O almeno accettabili ? E come ? Con guanti, mascherine e quant'altro ?

La pandemia ha, di fatto, azzerato questa industria, rendendola superflua, nonostante le tante dimostrazioni di sostegno alla cultura. Le attività che rischiano la definitiva cancellazione sono molte ma si resta, più o meno, confinati nel dramma del singolo. Il cinema, invece, al pari dello spettacolo dal vivo, potrebbe spegnersi definitivamente. Almeno il cinema italiano.

Perché il cinema italiano non va sulle piattaforme, non con quella forza con cui vanno i film americani.

Il cinema statunitense, infatti, grazie anche al supporto di alcuni colossi della distribuzione online, sta supplendo alla mancanza di nuove uscite in sala fornendo numerosi titoli su piattaforme a pagamento. Tuttavia, questo sistema non è stato adeguatamente utilizzato nel Belpaese: le produzioni italiane, sia per la loro natura refrattarie all'uso della rete, che per le difficoltà e carenze strutturali, non hanno copiato lo stesso procedimento e restano ancorate alla futura ed improbabile prossima apertura delle sale. La Rai, principale emittente nazionale, ha risposto proponendo “programmi girati prima del DPCM del 4.03.2020”, rendendo improvvisamente tutto quanto vecchio, perché accaduto prima e, di fatto, inserendo nel palinsesto repliche in continuazione. Ma questo per il cinema non è possibile: anche se film d'epoca solleticano numerosi spettatori, a lungo andare nessuna sala potrebbe gestire esclusivamente un vecchio magazzino.

IL CINEMA NEL FUTURO

Nel 2002, Andrew Niccol fece un film in cui preconizzava l'utilizzo di attori virtuali: “S1Mone”. Un'attrice inesistente, ma straordinariamente viva, interpretava il film con Al Pacino protagonista. E se fosse questo il futuro del cinema ?

Attori robot, che non hanno bisogno di respirare; troupe ridotte, con il 50% dell'opera da realizzarsi al computer; proiezioni virtuali; fondali finti e così via.

Sarò franco: quanta possibilità c'è davvero di riprendere questo mestiere ? Resisto, rifletto, riordino. Onestamente, il concetto di cambiamento potrebbe spazzare via tutto: tempi troppo lunghi non favoriscono la progettualità; l'estrema durata della chiusura finirà necessariamente per penalizzare tutti quei piccoli esercenti (e anche le sale di appassionati) che non potranno reggere certi costi tanto a lungo e, strano ma vero, tutte quelle multisale che, dovendo necessariamente ridurre e limitare l'accesso, potrebbero trovare altra destinazione commerciale a spazi minori. A riguardo, il direttore del festival del cinema di Venezia, propendeva per una sorta di “anno sabbatico”: “ Grande attenzione andrebbe prestata all'esagerata offerta presente in rete, ché stante l'attuale fermo dei set le sale potrebbero trovarsi con pochi film da distribuire”, ha sostenuto Alberto Barbera, che però sembra anch'egli in difficoltà, mentre cerca di barcamenarsi tra le possibilità di fare oppure disfare (https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/04/21/venezia-barbera-cosi-preparo-la-mostra_24b18909-0e71-4f12-a37e-787dec6d67f1.html ;

https://www.cinefilos.it/cinema-news/2020/festival-di-venezia-2020-esclude-digitale-439358 ).

 

Troppo ottimismo! Certo, le istituzioni hanno il dovere di infondere fiducia. Prima ancora che preoccuparci della distribuzione, soffermiamoci un attimo a pensare alla realizzazione cinematografica: gli attori corrono, si urtano, si baciano. Spesso, la troupe è a ridosso degli interpreti: come potrebbe realizzarsi tutto questo con guanti, mascherine e distanza necessaria ?

Per analizzare meglio le difficoltà, getto un'occhiata agli amici del palcoscenico.

LO SPETTACOLO DAL VIVO

Di pari passo con l'apparato cinema, pur se viaggia spesso su binari paralleli, si muove lo spettacolo teatrale. In questo caso, non basta sanificare la sala, attendere il tempo tecnico necessario ad avviare le prime disposizioni di sicurezza. Il teatro si rappresenta, da secoli, grazie alla presenza delle persone in sala: non è possibile immaginare uno spettacolo a distanza, né trasmesso attraverso una diffusione via internet. Qui i tempi sembrano essere addirittura biblici; nelle scorse settimane, Carlo Cerciello, regista teatrale di fama internazionale, affrontando la questione è stato quasi lapidario: prima del maggio 2021 non possiamo pensare di andare in scena. E non è solo questione legata al consumo o alla necessità di mantenere a distanza gli attori, quanto di partecipazione. Infatti, la risposta emotiva, l'interazione, il gioco di rimandi con il pubblico è imprescindibile dall'evento messo in scena.

Questo, però, pone un altro problema: se, in fondo negli Stati Uniti si può immaginare una divisone – non netta ma comunque importante – tra attori teatrali e attori di cinema, in Italia gli stessi attori sono non di rado coinvolti come interpreti di film italiani e commedie. Il palcoscenico, insomma, è ben mescolato all'immaginario dell'inconscio visivo da cinema. Quindi: se è improponibile un teatro prima dell'estate prossima, a ragione è lecito spostare ancora più in là l'asticella di ripartenza del cinema.

 

CINEMA: QUALE PROPOSTA ?

Fare film è soprattutto lasciarsi guidare da un'idea.

E allora mi soffermo sul concetto d'ispirazione: per cosa ? Vorremmo avere tutti certezze, penso.

Se l'associazione distributori ed esercenti cinema Italia s'interroga “se davvero la gente, dopo tutta questa chiusura, avrà ancora voglia di chiudersi in sala”, molto della risposta dipende dalla capacità di autori di genere di attrarre le famiglie, i fruitori saltuari, il pubblico da weekend e molto meno i “cinefili” e coloro che, in fondo, vivono di questo. Sono infatti i primi il vero mercato della sala.

Indubbiamente, prendendo in seria considerazione l'idea di restare chiusi in casa e cercare di trovare “il tempo necessario a partorire un'idea”, ben pochi riescono a costruire un'ipotesi progettuale. Non si tratta di fragilità: il cinema è anche osservazione della realtà e, per adesso, l'osservazione resta confinata tra le mura di casa: anche uno scrittore come Veronesi ha confessato di non “riuscire a trovare il momento adatto per scrivere” (https://www.affaritaliani.it/politica/palazzo-potere/il-virus-siamo-noi---intervista-al-premio-strega-sandro-veronesi-665468.html ) e non è il solo.

 

Infatti, anche un'autrice di primo piano quale Emma Dante dichiari che “non riesce a pensare ad una ipotesi lavorativa ora” (https://www.teatrostabilenapoli.it/teatro-a-casa/ ); non è davvero semplice oggi la prosecuzione di attività ludiche ma, in questo particolare momento emerge quanto debole sia l'impalcatura che sovraintende la nostra cultura nazionale e quanto siano confinati gli artisti.

Salma Hayek

Il racconto dei racconti (2015): Salma Hayek

 

 

 

IL GUSTO DEL PUBBLICO.

Il problema, in ogni caso, si sposta sul pubblico: cosa farà davvero lo spettatore medio ? Prevarrà la paura o l'essere un animale sociale, com'è nella sua natura, lo indurrà ad abbassare le difese ?

Negli ultimi anni si è parlato di un ripensamento del cinema su grande schermo, scomodando sociologi ed economisti per risollevare le sorti di un'industria (invero piccola, perché probabilmente sovrastimata: nell'indotto che può comprendere anche l'apparato televisivo, trovano collocazione stabile meno di 15.000 persone, mentre una quota simile è precaria), che però è maggiorata da un'ossatura composta da consulenti, commercialisti e tecnici che, presumibilmente, affiancano altre consulenze all'attività artistica propriamente detta (https://www.linkiesta.it/2019/04/rapporto-anica-cinema-audiovisivo/ )

Nel futuro prossimo, va aggiunta necessariamente la difficoltà di spesa per molte famiglie: lecito, anzi di più, immaginare che moltissime persone rinuncino al superfluo e all'accessorio. Ed in fondo, ancora oggi, il cinema è ritenuto un accessorio.

La domanda principale sembra essere, però, la più inquietante: cosa avrà davvero voglia di vedere lo spettatore ?

Attualmente, le premesse per un ritorno in sala sembrano davvero lontanissime. Ma, auspicando che questa possa avvenire quanto prima – e va ribadito : non è detto che tale auspicio sia invero realizzabile – dobbiamo porci come quell'esercente (1 su 4, secondo le stime odierne più probabili) che, dopo aver aspettato un anno per la riapertura, dovrà fare i conti con la domanda, anziché con l'offerta.

Carlo Verdone, Rocco Papaleo, Anna Foglietta, Max Tortora

Si vive una volta sola (2020): Carlo Verdone, Rocco Papaleo, Anna Foglietta, Max Tortora

Rimanendo in Italia, il cinema ha da tempo scelto due strade: drammatico o commedia - solo in qualche caso la commedia è divenuta genere comico, essendo i comici merce rarissima. Se restiamo ancorati ai narratori principali, cioè coloro sui quali si concentrano i maggiori finanziamenti (Sorrentino e Garrone, in primis, poi Bellocchio, Guadagnino e Moretti, Virzì, Martone e Alice Rohrwacher, Pietro Marcello, Costanzo per la fiction e via via tutti gli altri), non possiamo che verificare quanto l'influenza del tema di attualità sia decisamente lontano, pur se gli stessi cercano di coniugare al presente, spesso riuscendovi, la propria narrazione; le opere dei maggiori cineasti di casa nostra, tuttavia, si sono espresse attraverso una rivisitazione personale dell'accaduto (ma va ricordato che anche il cinema statunitense ha seguito questa strada, a cominciare da Tarantino), quando non si sono rifugiati nella fantasia (“Pinocchio”, “Il racconto dei racconti”, sono solo due esempi) e più spesso molti esordi hanno seguito la stessa strada (“Lo chiamavano Jeeg Robot”, di Gabriele Mainetti); qualcuno ha anche ripreso un discorso arcaico (“Il primo re”, Matteo Rovere), solo qualcuno ha puntato al genere (“The Nest”, dell'esordiente De Feo, “Il signor diavolo”, di Avati e “L'uomo del labirinto”, di Carrisi, “Ammore e malavita”, dei Manetti Bros): nonostante ciò, gli incassi – ma non il gradimento – non sono stati stratosferici, a conferma di un pubblico almeno apparentemente più propenso all'intrattenimento che alla riflessione. Dal coro sono comunque (in parte) esclusi Salvatores e Tornatore che hanno una platea più ampia e rodata e Muccino sr. per la capacità di attrarre spettatori (come Ozpetek, che ha però ondate differenti, a volte riempiendo le sale, altre molto meno), oltre naturalmente a Luca Medici-Zalone, che ha tempi lunghi di programmazione ed ad autori quali Miniero e Genovese che però non godono di grossi contributi: il cinema italiano, complessivamente, però, non sembra in grado di attrarre folle e questo, alla luce della lunga chiusura appare ancora più pregiudiziale.

Non è comunque questa la sede adatta per un quadro complessivo del cinema nostrano: quanto appena esposto è solo un cenno di quello che potrebbe essere e un'ipotesi, va detto, costruita su alcune osservazioni che potrebbero riportare in sala il pubblico; certo, alcuni prodotti esteri, statunitensi soprattutto, potrebbero ribaltare lo scenario e giustificare una certa nostalgia per la vera visione condivisa ma bisognerà davvero fare i conti con la congiuntura economica dei prossimi 24 mesi.

In ogni caso, sono troppe le domande: ad esempio, i film non più usciti sono davvero ancora attuali ? Il dubbio è legittimo: non è facile pensare a registi e attori quali Verdone e Albanese, ma anche Pieraccioni o Salemme, che si confrontano a modo loro con la quotidianità, pronti per affrontare un fenomeno di tale portata come il blocco di tutte le attività. D'altra parte, la capacità di far ridere sorvola il momento difficile per proiettarsi in un universo folle e irreale ma quanto questo cinema da commedia può reggere il passo ? Con tutto quello che è stato scaricato in rete ? È però vero che se l'associazione distributori ed esercenti cinema Italia s'interroga “se davvero la gente, dopo tutta questa chiusura, avrà ancora voglia di chiudersi in sala”, molto della risposta dipende dalla capacità di autori di genere di attrarre le famiglie, i fruitori saltuari, il pubblico da weekend e molto meno i “cinefili” e coloro che, in fondo, vivono di questo. Sono infatti i primi il vero mercato della sala.

Una ulteriore importante risposta potrebbe arrivare dal pubblico giovanile e non è certo a favore della sala. Proprio i più giovani hanno mostrato di gradire molto questo intrattenimento casalingo: anche osservando la natura comportamentale degli italiani, possiamo notare come i ragazzi abbiano preso alla lettera l'ingiunzione di “restare a casa”, sopportando meglio degli adulti – e quindi rispondendo meglio alle nuove tecnologie – il forzato isolamento.

 

Improvvisa, un'immagine si fa largo dinanzi a me: quand'è che abbiamo smesso di ammirare in condivisone le opere di Giotto, Michelangelo, Raffaello, Leonardo e finalmente ci siamo portati i quadri a casa ? Era più comodo, sì. Ma non è la stessa cosa. Lo sapevamo, lo abbiamo sempre saputo ma abbiamo preferito continuare a stare comodi. E puf!, tutto è diventato archeologia! E se adesso, quasi improvvisamente, succedesse la stessa cosa con il cinema ? Archeologia.

 

LA RIAPERTURA PROBABILE. ANZI, IMPOSSIBILE.

Se domani “si riaprisse” l'Italia, sarebbe già tardi. In definitiva, non da poche parti il grido di dolore per la chiusura delle sale appare meno scontato di quanto parrebbe. Primo, perché non basteranno certo gli aiuti di stato in un settore che, per evidenti ragioni, sarà l'ultimo a venir soccorso. Secondo: molte produzioni minori saranno cancellate. E questo è in effetti necessario perché gli spazi di proiezione si ridurranno e quelli rimanenti dovranno fronteggiare un'offerta da principio più ricca di prodotto mainstream, accantonati nei magazzini.

Si può chiaramente obiettare che tra un anno, al più tardi due, in ogni caso le produzioni torneranno ad esistere: c'è la televisione. Molte serie, negli ultimissimi anni, hanno scritturato attori di cinema, registi dediti al grande schermo, che non hanno più trovato le condizioni adatte per continuare a lavorarci, hanno preferito la carriera televisiva, scrittori valenti sono stati arruolati sulle reti nazionali: la mente corre a Tavarelli e al recentissimo Corsicato. Certo: ma, nonostante un'offerta media che ha elevato la sua qualità, resta un indirizzo generale a proposito di inquadratura, utilizzo scene, costumi, direzione degli attori. In fondo, si tratta sempre della stessa produzione.

 

Elena Sofia Ricci, Iaia Forte, Bianca Nappi, Teresa Saponangelo, Orsetta De Rossi

Vivi e lascia vivere (2020): Elena Sofia Ricci, Iaia Forte, Bianca Nappi, Teresa Saponangelo, Orsetta De Rossi

IL CINEMA IN SALA

Le osservazioni successive sono riferite soprattutto al cinema maggiormente consumato in sala: riferendoci agli anni precedenti – assumendo come base il triennio 2017/19 – possiamo dire che il popolo italiano fruisce di cinema anglo-statunitense per una quota del 70% del prodotto distribuito e per circa il 24% del cinema italiano e del cinema italiano coprodotto. Una quota minore spetta al cinema francese (poco più del 3%), mentre tutte le altre cinematografie sono rappresentate, singolarmente, per valori minori dell'1%. Le cinematografie orientali – che sembrano godere comunque di un cospicuo mercato interno – non possono quindi rientrare in questa casistica, pur avendo riscontrato un discreto successo al box office in particolar modo in anni recenti, mentre la rappresentanza di filmografie di paesi dell'est e dei paesi nordici, come della penisola arabica, o sudamericani non rappresentano significativamente il prodotto fruito su grande schermo.

( per informazioni dettagliate, qui il rapporto Anica completo riferito agli anni 2018 e 2019: http://www.anica.it/allegati/DATI/Box%20office%202018%20Italia_tabelle.pdf ; http://www.anica.it/allegati/DATI/Box%20Office%202019_conferenza_15012020_tabelle.pdf

Assumendo quindi il punto di vista dei cugini d'Oltralpe come identico al nostro, possiamo adesso catalogare il cinema che gode di visioni collettive in due grandi categorie: il prodotto “mainstream”, quello più propriamente destinato alle grandi masse, solitamente d'evasione, finanziato dalle major in America e in prevalenza dai contributi ministeriali in Italia, e quello, decisamente più ostico, definito come “prodotto d'autore”, spesso realizzato con capitali di diversa provenienza, solitamente per raccolta di adesioni su piattaforme destinate al crowfunding negli Stati Uniti e attraverso il ricorso a contributi disparati (anticipazioni bancarie, prestiti da amici, soprattutto product placement e credito d'imposta) per quello italiano.

Il cinema statunitense, grazie anche al supporto di alcuni colossi della distribuzione online, sta supplendo alla mancanza di nuove uscite in sala fornendo numerosi titoli su piattaforme a pagamento. Tuttavia, questo sistema non è stato adeguatamente utilizzato nel Belpaese: le produzioni italiane, sia per la loro natura refrattarie all'uso della rete, che per le insite difficoltà e carenze strutturali, non hanno copiato lo stesso procedimento e restano ancorate alla futura ed improbabile prossima apertura delle sale.

locandina

Stop the Pounding Heart (2013): locandina

IL CINEMA INDIPENDENTE.

A questo punto, è bene soffermarci sui dati di casa nostra, tralasciando di fare considerazioni d'ordine mondiale. Nel circa 30% di produzione interna, infatti, confluiscono alcuni lavori che, in assenza di sala, non avrebbero nessuna visibilità: si tratta, per l'appunto di quel cinema costruito fuori dagli studios e spesso fuori dal sistema produttivo tradizionale: Quel tipo di cinema che conta sui festival, sulle monosale, che viene messo in mostra ad orari impossibili e che gode di una premiere con la troupe e il cast in sala. Giusto quel tipo di cinema che consente di esaltare e far nascere talenti che altrimenti resterebbero nell'ombra per anni, fuori da qualsiasi circuito distributivo regolare e che sovente ricorre per le presenze in sala al passaparola, ai parenti e agli amici. Questo cinema, di fatto, è tagliato completamente fuori dalle piattaforme, a mneo di non essere fruito gratuitamente, quando non illegalmente. Ma è vitale e spesso ha consentito la carriera di molti autori: oggi non sembra essere più un caso che registi come Darren Aronofski e Roberto Minervini abbiano prodotto le loro prime opere in autonomia, facendo uso di budget ridottissimi per l'esordio e che solo dopo abbiano potuto ricorrere a cospicui finanziamenti

Di fatto, si anticipava precedentemente, il cinema italiano resta invisibile su piattaforma: pochissimi i fruitori ed appassionati di prodotti nostrani: la mancanza dei cosiddetti “generi” (abbiamo abdicato da tempo, vuoi per i costi che per mancanza di idee narrative ai film di guerra, action, polizieschi, thriller, horror, gialli e di fantascienza, certi che si fanno comunque meglio meglio altrove e produciamo solo qualche lampo d'animazione ) spinge l'online altrove.

Non è quindi assolutamente facile intuire le preferenze del pubblico del domani. Qui non parliamo di appassionati, come quelli che popolano il sito e che avvertono tanta voglia di tornare a riempire la sala; piuttosto guardiamo alla maggioranza degli spettatori che, per loro natura stessa, sono silenziosi ma in grado di dirottare le proprie preferenze sull'offerta produttiva.

Prima di concludere l'analisi, urge compiere un parallelo con quanto è accaduto nel secolo scorso.

 

IL DOPOGUERRA E OGGI.

All'inizio della pandemia, molti salutarono questo evento come la base per la ripartenza : non pochi i cori entusiastici al grido di “ce la faremo” e “andrà tutto bene”, prima che andasse tutto male, probabilmente speranzosi di riproporre una sorta di dopoguerra “neorealista”. Le ipotesi di “fare qualcosa”, su quanto si stesse vivendo non erano poche (si pensi alle due idee di Salvatores e Muccino, che intendono riproporre la quarantena , la prima con una visione “doc”, la seconda con una prospettiva “fiction” sia nell'uno che nell'altro caso coinvolgendo quanti più autori possibili) ma il focus restava: “cosa” si stesse vivendo ? Via via che la quarantena è proseguita, e man mano che l'ipotesi di allungamento della stessa prende piede, le idee precedenti sono di fatto crollate. Perché un problema sia inquadrato anche in una prospettiva storica, occorre prenderne le distanze per minime che esse siano; quanto riuscì a Rossellini, nel dopoguerra, fu frutto, oltre che di un'intuizione, anche dello stato delle cose: la necessità di filmare quanto distrutto, di ricordare le nefandezze guerresche, il ricorso ad attori non professionisti perché non si potevano pagare gli interpreti che lo facevano di mestiere accadde in maniera casuale, senza nessuna premeditazione e fece scuola solo nel tempo – val la pena rammentare qui che Fellini ebbe a dichiarare: “Io pensavo che il cinema non si sarebbe mai più fatto; l'idea di fare caricature era anche frutto di questa mia personale visione (...)” - Qui, invece, almeno al principio del caos, c'è stata l'approssimazione di credere nella “ricostruzione”, come se fosse quel toccasana di tutte le categorie invocato da tempo (il presidente Mattarella ha dichiarato che “Noi italiani abbiamo sempre saputo dare il meglio nella ripresa”), dimenticando che ancora non sappiamo quale sarà l'evoluzione naturale degli eventi. Annullate, quindi, tutte le possibilità di “film contemporanei”, nonostante molti autori continuano a pensare in tal senso, resta il problema di un ripensamento generale dello stato delle cose.

 

locandina italiana versione restaurata 2014

Roma città aperta (1945): locandina italiana versione restaurata 2014

CINEMA: DA VENTI ANNI AD OGGI.

Eppure, il cinema della seconda metà degli anni 2000, con l'avvento delle tecnologie digitali e l'abbassamento dei costi per le riprese sembrava aver reso possibile l'accesso a tutti i registi che non godevano di finanze familiari: in un'epoca, che oggi sembra lontanissima, che si proponeva di rilanciare il cinema facendo opere più vicine alla gente comune, soprattutto dopo l'11 settembre 2001, pareva che quella distanza tra spettatore e autore fosse davvero minima,. Ma ciò che sembrava essere la luce dopo il tunnel imposto da rigide regole di mercato si è rivelato un bluff: le case cinematografiche, compreso il fenomeno, hanno ridotto gli spazi, imponendo ad esercenti e distributori accordi commerciali stringenti atti a limitare la circolazione in sala di prodotti detti indipendenti. E oggi ? Il pubblico, alla fine, vuole andare sul “sicuro”: poche risorse, almeno in sala si pretendono certezze. Possiamo, allora, concludere con le parole di Steven Soderbergh: “ The Laundromat poteva essere finanziato solo da Netflix: al cinema, oggi, si chiede altro, cioè il fantasy che funziona ovunque, con qualsiasi lingua, perché è cambiata la motivazione per sedersi in sala. Il reale, semplicemente, può essere affrontato solo in televisione, con spettatori adatti a questo tipo di film".

Ecco: quando sembrava che il cinema stesse per riprendersi, la realtà pone fine alla fantasia: tutta colpa di...un virus.

locandina

Il viaggio nella luna (1902): locandina

Dai, mi dico, pensa ad altro: ecco pensa alla luna. Stasera, ecco, la Luna si abbraccia con Venere. È solo a questo punto che la mente va a George Melies: “Viaggio nella luna”, Che incredibile circostanza! 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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