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CLAUDE LANZMANN- In morte
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Claude Lanzmann

Napalm (2017): Claude Lanzmann

"La morte è qui, può arrivare ad ogni momento. E questo è molto male. Morire non ha nulla di grande, tutto il contrario, è la fine della possibilità di essere grandi. L'impossibilità di ogni possibilità".

Questo diceva nel 2015 Claude Lanzmann, morto ieri a Parigi, non importa a quale età, la lasciamo ai necrologi/necrofori, né diremo le solite parole dei convenevoli, “lui vivrà sempre”, “la sua presenza qui tra noi”e bla bla bla.

E’ morto, e non c’è scampo, un altro grande ci ha lasciato per sempre, come Philip Roth, due mesi fa, e il cuore sanguina.

Il cuore sanguina, si perde il cuore
goccia a goccia, si piange interiormente,
goccia a goccia, cosí, senza rumore,
e lentamente, tanto lentamente,
si perde goccia a goccia tutto il cuore
e il pianto resta qui, dentro la mente,
non si piange dagli occhi, il pianto vero
è invisibile, qui, dentro il pensiero.

Patrizia ValdugaRequiem

 

//www.filmtv.it/post/18091/shoah-parte-prima/#rfr:user-43940

Shoah, Tsahal, Pouquoi Israel, e altro ancora, la sua voce potente, inesorabile, intorno ad un problema del secolo appena trascorso, la caccia all’Ebreo e lo Stato di Israele, in un terzo millennio da poco avviato che non offre soluzioni credibili, così come non ne hanno offerte i primi due millenni dopo la nascita di Cristo.

locandina

Shoah (1985): locandina

Shoah è stato un lungo viaggio di undici anni, chilometri e chilometri nei luoghi dell’Europa dove sbocciò la costellazione dei lager e dove la vita continua con i suoi ritmi giornalieri, le acque scorrono e gli alberi hanno ancora foglie ogni primavera, i bambini giocano in strada e i vecchi prendono il sole sulle panchine d’estate.

Luoghi di un presente immemore, teso su un passato immemorabile perché, diceva Lanzmann:

“… l’ordine che governa e scandisce il film è quello dell’immemorabile: l’evento disumano, di cui peraltro sono stato contemporaneo, viene ributtato, per la sua stessa disumanità e il terrore che ci ispira, a una distanza siderale, in un in illo tempore quasi leggendario e come esterno alla durata umana.

Non è successo, non è potuto succedere quarant’anni fa!

Maior et longinquo reverentia: senza la distanza e l’orrore – la distanza nata dall’orrore – il racconto di Shoah, al contempo presente e immemorabile, puro racconto etico della tragedia, non può nè accadere nè incominciare” .

 

 E poi TSAHAL (Tsava Haganah LeIsraël), il cinema se ne occupa, offre al regista il mezzo che mancava, l’occhio che guarda e l’orecchio che ascolta, il cinetismo delle immagini fa lievitare la riflessione.

Un esercito per Israele, perché? e perché così?

TSAHAL, un esercito celebre, nato in seguito a circostanze storiche che hanno segnato il secolo scorso con un marchio d’infamia, la Shoah del popolo Ebraico.

Lanzmann ha dedicato gran parte dei suoi anni e del lavoro di cineasta alla documentazione della storia ebraica e israeliana, quello che appare nelle quasi cinque ore di questo docu-film è innanzitutto una lezione di metodo e di stile, per l’originalità nel modo di affrontare una materia tanto rovente, l’efficacia nel sottrarla al rischio dell’agiografia e della mistificazione, la forza che induce a guardare e porsi domande.

Perché girare un documentario così capillare su un esercito?

La domanda è lecita, l’argomento insolito e la disinformazione grande.

Bisogna armarsi di molta pazienza e sgombrare il campo da giudizi e pregiudizi quando ci si mette di fronte a Lanzmann.

Allora saremo sicuri che ci spiegherà e ne usciremo con le idee chiare, e poi, ed è quel che più conta, senza il minimo sospetto di essere stati turlupinati.

Come in Shoah, lui fa parlare le cose, i fatti.

Lì i morti, per bocca dei sopravvissuti, qui i vivi che fanno di tutto per non morire.

Lanzmann dà voce alle immagini, frequenti riprese aeree misurano con chiara evidenza le piccole dimensioni di Israele, la sua mancanza di profondità strategica.

La sua fragilità e il potere del suo esercito creano un contrasto stupefacente, dovere dell’uomo di pensiero è occuparsene e cercare di capire, Lanzmann poteva e sapeva farlo, le critiche neppure lo sfioravano, è un prezzo che ha pagato senza troppo rammarico.

 

Ma è ora di chiudere, chi non conosce Lanzmann ha modo di saperlo, almeno ora, chi lo conosce non può che pensare a lui con riconoscenza e continuare ad onorarlo nel suo cuore.

Ma è morto, c’est tout.

“Perse conoscenza sentendosi tutt’altro che abbattuto. tutt’altro che condannato, ancora una volta impaziente di realizzare i propri sogni, ma ciononostante non si svegliò più. Arresto cardiaco. Non esisteva più era stato liberato dal peso di esistere, era entrato nel nulla senza nemmeno saperlo. Proprio come aveva temuto dal principio”.

Philip Roth, Everyman,2006

 

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