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Quando vado a vedere un film che è ambientato negli ultimi 30-40 anni, in zone che conosco e delle quali pertanto ho una memoria storica, faccio più attenzione del solito alle scene. Perché spero di ritrovare qualcosa, di confrontarlo con la mia memoria, di riviverlo, fosse anche solo l’immagine di un luogo.
Conosco abbastanza bene la pianura padana, la “bassa”: ho un ricordo delle sue estati, dell’aria immobile, dei paesi silenziosi alle due di pomeriggio, dei bar quasi nascosti, della gente.
Così quando l’altro giorno ho visto Chiamami col tuo nome sono stato attento.

 

Armie Hammer, Timothée Chalamet

Chiamami col tuo nome (2017): Armie Hammer, Timothée Chalamet

 

Per me stare attento vuol dire per esempio che mentre si svolge la scena guardo dietro: lo sfondo, le comparse. Cerco di scorgere errori, segni del presente mal mascherati. Oppure mi godo i dettagli, quando le cose sono fatte bene. Insomma riconosco in me anche un piacere che vado cercando è che storico-architettonico. Per la scenografia.
Andai a vedere Vallanzasca proprio perché più che altro speravo di rivedere Milano com’era, o meglio com’era stata ricostruita. Speravo di vedere le vecchie periferie degli anni ’70. Fui deluso quando mi accorsi che in esterno i campi erano sempre stretti, per evitare di inquadrare cambiamenti e per evitare di dover quindi ricostruire troppo. Quando c’era necessità di avere sullo sfondo un’intera strada, tutto era molto, ma davvero molto sfuocato. In sostanza non si vedeva nulla della Milano di un tempo: vi si alludeva visivamente e basta.
Anche nel film di Guadagnino è stato facile vedere i trucchi. In esterno - in presenza di territorio umanizzato (cioè non - ovviamente - tra i campi) la macchina da presa stava sempre molto stretta sulle persone in primo piano. In questi casi, dietro, ci si concede al massimo un muro, un’insegna, un manifesto. Le macchine d’epoca naturalmente vanno benone (nelle serie americane il passato lo si afferma visivamente con le autovetture: è chiaro che ne hanno tante). Eppure, nonostante mi accorgessi che si era andati al risparmio, l’estate di una volta in quei luoghi mi è arrivata, intatta. I “trucchi” hanno funzionato per attivare i recettori. Il passato è tornato.
Se non si hanno soldi si fa come si può. Ed è meglio se si fa bene, perché ogni errore costa doppio. Guadagnino di soldi ne ha fatti spendere pochi per il suo film: 3,5 milioni. Per una produzione internazionale è decisamente poco.
Per questo niente attori noti, poche location (ma ben scelte, meglio investire sul trovarle), nessun evento o movimento spettacolare. E una ricostruzione della fine degli anni ’70 modesta: basata sulla vita di una casa, su dettagli dell’arredo e dell’abbigliamento e su pochi segnali del passato ben messi, nei posti giusti.
Una ricostruzione che però ha funzionato, almeno con me. Mi ha accontentato.

Anche se mi accontento però so che al tempo stesso mi manca sempre uno sguardo più grande: quella piazza che intravedo, vorrei rivederla tutta. Vorrei vedere anche il paesaggio umano, non solo la natura, in campo lungo. Ma non si può… Nelle grandi produzioni (ab)usano il digitale: quello può quasi tutto. Ma nelle piccole no. E mi accorgo che forse è necessario operare in me una decrescita per (ri)trovare la soddisfazione. Accettare una riduzione delle aspettative dell’occhio, organo iperstimolato e per sua natura bulimico. L’occhio vorrebbe il panorama, al cervello basta una vecchia insegna Sali & Tabacchi.
Certo bisogna sapere dove metterla quell’insegna. E sapere dove mettere anche tutto il resto, ovvio. Però è bello sapere che il film di Guadagnino ha già incassato dieci volte il suo budget: se poi vincerà anche qualcosa agli Oscar (io dico che l’attore ce la può fare, per una serie di motivi) allora quella cifra crescerà ancora. E sarà ancora possibile avere altri film a basso budget che hanno un mercato, di nicchia ma retributivo. Forse una decrescita, nelle aspettative degli spettatori che si infastidiscono per dettagli non coerenti e di quelli (assai più numerosi) che si sono abituati a un reame visivo che ottunde gli altri sensi. Forse una decrescita - anche nei budget, nei cachet degli attori - potrebbe essere una soluzione.
Si scherza, eh.
Comunque una domanda: voi, tra spendere 3 milioni e guadagnarne 30 o spendere 300 e guadagnarne 100, cosa preferireste?

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