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Lo chiamavano Jeeg Robot. Il fumetto.
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Lo chiamavano Jeeg Robot (2015): locandina




Del film diretto da Gabriele Mainetti, ufficialmente in uscita dal 25 febbraio, ne ha già diffusamente illustrato il sommo - oserei dire vate - Ruggero Tornilli, corso animato da furiosa golosità cinefila ad una delle anteprime (più o meno) gratuite previste in questi giorni in lungo e largo nella penisola ("Paese di santi, poeti e navigatori". No, non di supereroi).
[ qui le recensioni già pubblicate: Gaiart, Alan Smithee, Pazuzu, Nickoftimerozann971, Supadany e del medesimo gran maestro di cerimonie, acrostici e raduni Tornhill: leggete e moltiplicatevi ]
Orbene, ciò che distingue Lo chiamavano Jeeg Robot, oltre all'essere oggetto "alieno" all'interno della paludata giungla dei soliti noti dell'ammuffita cinematografia nazional(popolar)e, è l'espansione del medium filmico in senso crossmediale.
Una bella novità.
Ecco dunque il fumetto omonimo (numero unico), edito con la Gazzetta dello Sport il 20 febbraio, che della pellicola è una immaginaria continuazione; costituisce però una storia autonoma ed autoconclusiva (scongiurati pertanto rischi spoiler o paranoie da continuity). Insieme, un unicum gustoso da assoporare in pieno.
Non è cosa di tutti i giorni (qualcosa di simile, sebbene più ampio per la natura progettuale dell'opera, è Monolith - film e graphic novel previsti per l'anno in corso).
Si tratta di un breve racconto, a firma di Recchioni [per chi non lo sapesse, tra le altre cose è il creatore dell'ottimo, attualissimo Orfani nonché curatore del "nuovo corso" di Dylan Dog: in questa ultima veste, conta tanti ammiratori quanti ostili detrattori. Ma si sa: la verità, come la vagina, spesso sta nel mezzo]; mentre i disegni sono opera di Giorgio Pontrelli (un curriculum già bello corposo) e i colori di Stefano Simeone.
Particolarità la cover, o meglio, le cover: quattro magnifiche variant concepite da autori illustri quali Giacomo Bevilacqua, Leo Ortolani, ZeroCalcare e lo stesso Recchioni. Dal vivo rendono benissimo!



Il lavoro di illustrazione espressiva di Pontrelli e la colorazione vivace e composita di Simeone conferiscono all'albo una dimensione dinamica e suggestiva, ambientazione ideale per le vicende narrate e gli argomenti trattati dalla penna caustica del fumettista romano.
Graffia, non poco, la storia, e non risparmia nessuno: ovviamente il mondo stesso dei supereroi(stici), ma in particolare le perversioni/distorsioni delle vie della comunicazione.
L'opportunismo balordo e pernicioso dei mass media, la volubilità (telecomandata, o meglio: webcomandata) dell'opinione pubblica - tanto lesta a esaltare quanto ancor più fulminea a dimenticare e condannare senza appello (né processo) -, i deliri e le manie del popol(in)o della rete (la seconda vignetta così recita: «Il primo supereroe italiano? No, prima i maro'»), le ponziopilatesche autorità (finché non ti prendono di mira, eh), la distanza della classe politica.
Quando a Ceccotti un simpatico manipolo di individui improvvisatisi vigilanti (per seguire l'"esempio" danno fuoco a un campo nomadi) declama: «Noi siamo quelli che hanno deciso di reagire, NOI SIAMO LA GENTE!», la risposta dell'antisupereroe è: «A me la gente me sta sul cazzo.»: chiari i riferimenti.
Non sarà l'unica battuta dal taglio amaro; amarezza - per lo stato delle cose - che contraddistingue l'albo fino alla fine (significative le ultime due vignette, e le considerazioni di Ceccotti).
In conclusione, una stimolante avventura che (si) completa (con) l'esperienza cinematografica; un bell'oggetto da consigliare. E da avere.


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