Il Richiamo della Tundra. “Last of the Curlews” (1955, 1995) di Fred Bodsworth (1918-2012) è a tutti gli effetti un breve romanzo – non un saggio scientifico, un reportage/resoconto giornalistico o una guida naturalistica, ma un romanzo, punto, che è anche un po’ un saggio scientifico, un reportage/resoconto giornalistico o una guida naturalistica, toh: infatti, e in pieno spirito postmoderno-massimalista, è interlacciato a brevi capitoletti tratti da resoconti ornitologici di istituzioni e associazioni naturalistiche che vanno dalla seconda metà del XVIII secolo alla prima metà del XX – con un protagonista, soverchiantemente guidato e mosso dall’istinto fabresco, più inconsapevole di quelli londoniani di “the Call of the Wild” e “White Fang”, perché è proprio come se Jean-Henri Fabre, con la sua darwiniana liricità, avesse scritto un trattato socio-ornitologico con le abilità strutturali di Jack London e, viceversa, è come se Jack London, con la sua prosa pre-hemingwayana, avesse scritto un libro d’avventure con le competenze etologiche (contestualizzate al suo tempo) di Jean-Henri Fabre.
Primavera Silenziosa. A giugno la notte artica si è ridotta a un breve intervallo di crepuscolo grigio e nelle interminabili ore diurne sciami di zanzare si alzano come nuvole di fumo dalle pozze della tundra durante il disgelo. Un tempo, proprio in quel periodo, gli eschimesi aspettavano il coro soave, tremulo e potente degli stormi di chiurli eschimesi e la promessa di carne tenera che quel coro portava nella terra artica. Ma i grandi stormi non arrivano più. Se ne è perso anche il ricordo, rimane solamente la leggenda. Perché il chiurlo eschimese, in origine uno degli uccelli da selvaggina che più abbondava nel continente, ogni primavera e ogni autunno affrontava la sfida dell’impallinamento e, superatala, imparava con troppa lentezza la paura del fucile da caccia, necessaria se voleva sopravvivere. Ora questa specie resiste precariamente sull’orlo dell’estinzione. Solo qualche superstite isolato compie ancora la lunga e pericolosa migrazione dalle aree di svernamento della Patagonia argentina, per cercare una compagna della sua specie tra le pianure acquose della tundra che digradano nel mare Artico. Ma l’Artico è immenso. Di solito cercano invano. Ultimi di una razza morente, ormai volano da soli.
Orientamento. Meno di una settimana per compiere gli 8.000 km in linea retta, e quindi quasi da raddoppiare per via delle correnti atmosferiche, delle condizioni meteorologiche, della morfologia terrestre, delle fasce climatiche e di altri fattori causali e casuali, della prima e più impegnativa tappa - dall’estremo nord canadese verso l’equatore, dalla fine dell’estate artica a quella eterna tropicale - dell’intero tragitto migratorio, bruciando tutta quanta la riserva corporea di lipidi accumulati durante il periodo post-riproduttivo e/o di svezzamento, per poi proseguire a spostarsi con relativa maggior calma ancor più verso sud per altri 7.000 km in linea retta, anch’essi quasi da raddoppiare, fino in Patagonia e l’inizio della primavera australe, e poi invece qualche mese per compiere la traversata transcontinentale, anzi: transemisferica, inversa, seguendo una rotta un po’ differente e rifocillandosi a tappe brevi lungo il percorso: questo è il viaggio che un animaletto composto da meno di 500 grammi alla partenza di ossa cave, piume, fasce di muscoletti e tendini e un po’ di grasso compie ogni anno spinto prima dall’istinto di sopravvivenza (fuggire all’inverno artico) e poi da quello, forse ancora più forte, riproduttivo (conquistare o farsi conquistare da un partner e stabilire una proprietà territoriale, difenderla e trasformarla in una casa-nido per i propri figli e per sé stessi).
Tassonomia. Il chiurlo boreale o artico o eschimese o nordico (Numenius borealis), estinto come lo sono il dodo o dronte (Raphus cucullatus) e il piccione/colombo migratore (Ectopistes migratorius) e quasi certamente il picchio dal becco d'avorio (Campephilus principalis) e il chiurlottello o chiurlo dal becco sottile (Numenius tenuirostris), era molto simile al chiurlo piccolo (Numenius phaeopus), a distribuzione cosmopolita, e specialmente alla sottospecie americana o hudsoniana (ssp. hudsonicus), e al chiurlo minore o nano (Numenius minutus), sibirico-asiatico e accidentale delle coste pacifiche di Canada e U.S.A. e dell’Europa centro-settentrionale. Nell’illustrazione qui sotto ad opera di Louis Agassiz Fuertes è l’esemplare al centro, circondato da altri scolopacidi non sempre congeneri.
Tira più una piuma di fica che un carro di buoi. Il maschio, che in parte faceva strada alla femmina, accusava di più la stanchezza. Le fitte ricorrenti ai muscoli pettorali erano mutate in un dolore sordo, opprimente, senza tregua, mentre sentiva il cuore battere strenuamente. Avrebbe potuto riposarsi un po' spostandosi indietro e lasciandosi condurre dalla femmina, ma sapere che lei lo seguiva e traeva energia dall'aria prodotta dalla sua forza, che il volo di lei dipendeva dal suo, era una sensazione calda e inebriante che gli impediva di cedere il comando. Il sole tramontò a ovest e le forze del maschio diminuirono al punto che neanche con la spinta mentale più ostinata sarebbe riuscito a far lavorare le ali al solito ritmo massacrante. Eppure non cedeva il comando. Il battito delle ali s'infiacchì e la velocità di volo di colpo calò. Appena se ne accorse, la femmina, che taceva da quasi ventiquattr'ore, emise un pigolio amoroso roco e sommesso che gli diede più forza di quanta avrebbe potuto trarne dal cibo o dal riposo. Lo ripeté come un ritornello, e il sole scese a filo dell'orizzonte accendendo il mare di mille gemme dorate, mentre proseguivano ininterrottamente portati dalle ali.
Luna di Fiele. L’incontro dell’esemplare di sesso maschile (uno dei pochi esseri viventi al mondo che può fregiarsi dell’epiteto di InCel con pieno diritto), protagonista della storia, col suo conspecifico di sesso femminile è tanto anticlimatico (si pensi all’uscita di scena di Llewelyn Moss nel “No Country for Old Men” di Cormac McCarthy) quanto struggente. E così l’addio nelle praterie canadesi per mano (armata) di un bifolco locale. [Qui sotto: una litografia colorata a mano ritraente una coppia di Numenius borealis; illustrazione tratta ritratta da "A History of the Birds of Europe" (1871-1881, 1895-1896) di Henry Eeles Dresser (1838-1915).]
Sinossi. Intorno alla metà del Novecento il chiurlo eschimese è stato dichiarato estinto. Questo piccolo, inclassificabile libro racconta l’odissea di uno degli ultimi esemplari, che a ogni primavera, mosso dall’istinto, dall’Antartide fa rotta verso l’Artide per accoppiarsi – e per garantire la sopravvivenza della specie. Una condizione tragica, la sua, giacché mai ha conosciuto i suoi simili, sterminati per puro diletto a partire dall’Ottocento. L’ultimo dei chiurli parte così per un viaggio che ha del miracoloso: Patagonia, Paraguay, Honduras, Messico, Stati Uniti, Canada... Supera catene montuose e vulcani, burrasche e tempeste di neve; copre migliaia di chilometri in pochi giorni, senza riposare né sfamarsi; sorvola foreste, fiumi, laghi, paludi; si libra sull’oceano come sulle Ande e sulla pampa. Ma se finora ha sempre affrontato la spedizione da solo, questa volta ha la ventura di imbattersi in una femmina della sua specie, con cui involarsi verso il luogo da lui scelto per riprodursi: pochi contesi metri di terreno spoglio nel Nord più estremo. Sempre che il Destino, nei panni esecrabili dell’uomo, non si metta di traverso. Al lettore non resterà allora che accompagnarli, complice e rapito, nella loro perigliosa, irrinunciabile missione, sull’ala di una prosa che per audacia, anelito e resilienza sa essere all’altezza di quel volo prodigioso.
Colophon. Fred Bodsworth (1918-2012) - “Last of the Curlews” - 1955 (illustrazioni di Abigail Rorer basate sui disegni originali di Terence Michael Shortt), con un epilogo datato “Marzo 1995”. Edizione italiana: “l’Ultimo dei Chiurli”, Adelphi, collana: Piccola Biblioteca (n. 817), Milano, 2025; traduzione di Cristiana Mennella, pagg. 136, € 14.00 (e-book € 7.99). Purtroppo mancano sia la prefazione di W.S. Merwin che la postfazione di Murray Gell-Mann presenti nel volume della Counterpoint di inizio anni ‘10 del XXI secolo.
“Se è vero che sono tanto minacciate [le gru] come mai sono così numerose?”
“Prima si posavano lungo tutto il Big Bend: duecento e più chilometri. Ora i chilometri sono ridotti a un centinaio, e diminuiranno ancora. Lo stesso numero di uccelli stipati in metà spazio. Malattie, stress, ansia. Peggio che a Manhattan.”
Richard Powers - "the Echo Maker" - 2006
("il Fabbricante di Eco" - traduzione di Giovanna Granato - Mondadori, 2008)
...e a sera puliva con mano esperta gli uccelli variopinti che aveva ucciso, sfregando la loro pelle con polvere da sparo e riempiendoli di pallottole d'erba secca per poi riporli nelle bisacce. Schiacciava fra le pagine del quaderno le foglie degli alberi e delle piante, e rincorreva in punta di piedi le farfalle di montagna tenendo davanti a sé la camicia con entrambe le mani, parlando agli insetti con sommessi bisbigli, lui stesso un oggetto di studio. [...] Toadvine [...] gli chiese quale fosse lo scopo di tutto questo.
[...] Qualunque cosa esista, disse. Qualunque cosa esista nella creazione senza che io la conosca esiste senza il mio consenso. [...] Accennò col capo agli esemplari che aveva collezionato. Queste creature anonime, disse, possono sembrare poco o niente nel mondo. Eppure l'esserino più piccolo può divorarci. [...] al di fuori della conoscenza umana. Solo la natura può rendere schiavo l'uomo, e solo quando l'esistenza di ciascun essere sarà snidata e denudata di fronte a lui, egli sarà davvero il sovrano feudale della terra. [...] Un sovrano feudale...è un padrone di tipo speciale: comanda anche dove altri comandano. La sua autorità revoca le sentenze locali. [...] Questo è il regno cui ho diritto, disse. Eppure in esso ci sono ovunque nuclei di vita autonoma. Autonoma. Perché esso mi appartenga non devo permettere che qualcosa vi accada senza il mio permesso.
Nessun uomo può arrivare a conoscere tutte le cose di questa terra, disse [Toadvine].
[Il giudice rispose:] L'uomo che crede che i segreti del mondo resteranno nascosti per sempre vive nel mistero e nella paura. La superstizione lo trascinerà in basso. La pioggia eroderà gli atti della sua vita. Ma l'uomo che si assume il compito di individuare nell'arazzo il filo che tutto ordisce, in virtù di questa sola decisione si fa carico del mondo, ed è soltanto facendosene carico che egli può trovare il modo di dettare i termini del proprio destino.
Non vedo cosa c'entri questo col fatto di catturare uccelli.
La libertà degli uccelli è un insulto per me. Li metterei tutti negli zoo.
Bell'inferno di zoo, sarebbe.
Il giudice sorrise. Sì, disse. Proprio così.
Cormac McCarthy - "Blood Meridian" - 1985
("Meridiano di Sangue" - traduzione di Raul Montanari - Einaudi, 1996)
Era buio e i chiurli partirono al sorgere della luna piena. Durante le altre trasvolate in mare i chiurli e i pivieri dorati avevano viaggiato da soli, ma ora seguivano un percorso di corrente migratoria costellato di altri uccelli. In due ore raggiunsero quelli più piccoli che erano partiti prima. L'aria risuonava di richiami e le ali brillavano d'argento al chiaro di luna. Esistevano rotte insulari più facili oltre il Mar dei Caraibi e il Golfo del Messico, lungo le quali gli uccelli avrebbero potuto spostarsi da un'isola all'altra senza quasi mai perdere di vista la terraferma. Ma la loro superficie era troppo piccola per sfamare le orde migranti, e così molti di loro seguivano le principali masse terrestri fino allo Yucatán e poi attraversavano il golfo con un unico volo senza scalo. I chiurli superarono cuculi che avrebbero nidificato in New England, tordi e dendroiche pettocastano che si sarebbero accoppiati nelle buie foreste di conifere dell'estremo nord, dendroiche striate che avrebbero proseguito fino in Alaska, doliconici e spize americane che si sarebbero sparpagliati per le praterie medio continentali, piccoli e brillanti pigliamosche vermigli che si sarebbero fermati a nidificare appena raggiunta la costa della Louisiana. Ma tra gli uccelli partiti quel pomeriggio dallo Yucatán c'era una specie che i chiurli non avrebbero mai raggiunto. Molti colibrì, gnomi vigorosi che pesavano meno di tre grammi, erano partiti con gli altri. Eppure ora erano molto più avanti, avevano distanziato tutti, le loro ali minuscole macinavano l'aria con settanta battiti al secondo. La gran parte degli uccelli avrebbe raggiunto il continente americano in venti ore. I chiurli ne avrebbero impiegate dieci. I colibrì otto.
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