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DESIDERI SMARRITI
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DESIDERI SMARRITI

Ci sono dei racconti, delle storie, dei film, che magari non avranno alcun effettivo valore “storicizzato”, potranno essere considerati persino “inutili facezie” di scarso interesse e considerazione, ma a volte sono proprio questi “minimalismi” fragili e usurati che per un attimo sono riusciti ad illuminare i tuoi giorni lontani (e non è davvero un merito di poco conto se si considerano i tempi e le condizioni di vita di quegli anni) suscitando il tuo interesse e la tua passione di ragazzo in formazione, più e meglio di tanti “capolavori” acclarati. Opere che proprio in virtù della forza di questa reminiscenza antica che non intende appannarsi, ti riesce difficile “cestinare” definitivamente, abbandonare all’oblio. Qualcuno ti aveva probabilmente affascinato unicamente per il titolo che ti sembrava così intrigante e speciale, da farti costruire sopra le tue personali immagini fantasiose che non avevano forse nessun riferimento effettivo con il contesto reale, ma che per te ne rappresentavano ugualmente (e ancora oggi riescono a farlo in mancanza – purtroppo – di una verifica diretta e indispensabile all’aggiornamento critico) l’essenza finale, qualcosa di più vero e concreto di ciò che intenda essere rappresentato. E’ certamente questo il caso di “Valeria l’amante che uccide” un sogno a lungo coltivato e mai realizzato semplicemente perchè considerato da mia madre, chissà se a torto o a ragione, un film troppo “perverso” - o malvagio – o peggio “indecente”, sicuramente non confacente per consentirne l’accesso alla visione a un ragazzino di meno di 7 anni, nonostante le sue ripetute insistenze e preghiere, a causa appunto di quella “esemplificazione” programmatica così dozzinalmente allusiva della traduzione italiana (ho scoperto molto più tardi che in originale si chiamava semplicemente “The Velvet Touch), sufficiente a farlo classificare fra le pellicole da mettere all’indice per non contaminare l’innocenza angelicata di un fanciullo che invece era già più compromesso col “peccato” di quanto si potesse supporre o immaginare. Un “desiderio” inseguito con nostalgica e pervicace determinazione ma sempre inutilmente, proiettando l’immaginario sui flani e le programmazioni ripetute e continuative (i films allora duravano più di una stagione) che lo rendevano a lungo disponibile e “raggiungibile” anche a distanza di mesi, in quei cinemini di quart’ordine, le smarrite “altre visioni” periferiche e fatiscenti, dense di fumo e ammorbate dall’odore acre del sudore che erano le mete abituali dei piovosi pomeriggi domenicali di inverni glaciali e sconfortati in quelli che erano ancora gli “anni d’oro” di una popolarità della settima arte che sembrava davvero perenne e inarrestabile. Salette minimali gremite fino all’inverosimile, schiamazzanti e chiassose, dove era possibile trovare sempre qualche piccolo spiraglio distensivo e a buon mercato alle pesanti frustrazioni quotidiane. Ovviamente lui poteva solo “suggerire”, pregare, perorare, ma non pretendere o “dettare legge”, soprattutto nel campo così delicato della decenza e della morale perchè non era demandata a lui la facoltà della scelta di cosa vedere e soprattutto di come “orientare” la propria vita e le proprie “passioni”. Altri, sono invece indelebilmente legati al ricordo del primo smarrimento, al sussulto delle prime disturbanti emozioni, alle origini dello sconcertante contatto con il dolore, sempre lacerante quando coinvolge l’infanzia e le sue dirette o indirette implicazioni.“Non dirmi addio”, per esempio (ma anche “Questo nostro amore”, plateale vulgarizzazione hollywoodiana delle tematiche pirandelliane di “Come prima, meglio di prima” con una porcellanata e sofferente Merle Oberon) rientra a pieno diritto in questa categoria: non andavo ancora a scuola quando lo vidi al cinema Giglio del Galluzzo e riuscivo a comprendere ben poco di “drammoni” familiari, incomprensioni e castighi, ma mi turbavano già le traumatiche problematiche dell’infanzia così fortemente esasperate e quella pellicola melodrammatica ed elementare, ricordo che mi fece crollare singhiozzante e inconsolabile sulle ginocchia di mia madre disperato e ansimante, nella sequenza dello scoglio, quando la bambina rischia di essere travolta dalla marea e le appare il fantasma della defunta madre adottiva a consolarla e salvarla e a ridarle la serenità perduta. La maggior parte resta però legata alla accensione frenetica e fiammeggiante della fantasia e dell’avventura o del mistero, un segmento questo che aveva certamente la priorità assoluta grazie a quei feuilleton così intriganti e avvolgenti che assorbivi golosamente e ti servivano poi per ricostruire, volenteroso e attento, le tue rielaborazioni personali girandoci intorno e giocandoci per giorni e giorni con “variazioni ed ellissi” da replicare all’infinito in attesa di nuovi stimoli e sollecitazioni. Pellicole “somozzicate”, piene di salti e di segni, accompagnate dal ronzio insistente del proiettore che più volte si inceppava costringendo l’operatore a nuovi rattoppi che le mutilava di altri preziosi fotogrammi rendendole ancor più sincopate… Pellicole distortamente afone, dove a volte era persino difficile comprende le parole, con le quali ti sei “imbattuto” fortuitamente quella “unica e sola volta” in una infanzia distante e mitizzata difficilmente archiviabile, piccolissime personali “passioni” travolgenti che mai più sei riuscito a ritrovare o ripescare successivamente nonostante la voglia e la nostalgia… nemmeno setacciando i passaggi fugaci delle programmazioni notturne in tv… nemmeno cercando impossibili vhs pirata, quasi che questi titoli si fossero davvero “dissolti nel nulla” o facessero parte soltanto del tuo “fantasioso” e personale bagaglio di suggestioni. Pellicole che forse per questa persistente “non presenza” sono davvero diventate “leggendarie” (al massimo qualche volta ti sei dovuto accontentare di scialbi rifacimenti deludenti e inappaganti, remake colorati ma forse ormai “fuori tempo massimo”, che non avevano più il fascino dell’immaginazione al potere, come l’impossibile, “ridicolo”, caramelloso e piagnone “Dono d’amore” del 1958 con la Bacall e Stack capace solo di irritarti e di accrescere il rammarico, ma con il quale non ha mai la forza e il coraggio di rinunciare all’appuntamento ogni volta che va in onda, nella impossibile speranza di ritrovare intatto anche un piccolo barlume di quella esperienza così “speciale” che è e rimane una delle sensazioni più “forti” di tutta la tua esistenza. Pellicole da “due soldi” probabilmente (forse l’unico superstite davvero “degno” di essere rivisto e rivalutato, potrebbe essere “So che mi ucciderai”, un insolito e tragico giallo tratto da un romanzo una volta di culto di Edna Sherry, anche se parzialmente rimaneggiato e addolcito in fase di sceneggiatura e di realizzazione pratica, con una conclusione un pò meno pessimistica e allarmata, come era per altro d’uso in quegli anni per non preoccupare troppo e far uscire con un messaggio almeno in parte “riconciliante”). Pellicole che con ogni probabilità sono davvero da considerarsi “smarrite” per sempre, perché non esistono più e se ne sta lentamente perdendo persino la memoria… Ma che importa? Sperare è sempre possibile… e alle volte i miracoli – o presunti tali - accadono. Chissà allora che anche in questo caso prima o poi non se ne possa verificare qualcuno e che passando davanti a un negozio specializzato del settore (di quelli attenti alle “rarità”) mi capiti all’improvviso di avvertire il classico tuffo al cuore per l’inattesa scoperta dell’avvenuta edizione in dvd di almeno uno di queste “fantomatiche” rarità… Io sono in attesa fiducioso e attento!!!

Playlist film

La superba creola

  • Drammatico
  • USA
  • durata 110'

Titolo originale The Foxes of Harrow

Regia di John M. Stahl

Con Rex Harrison, Maureen O'Hara, Richard Haydn, Victor McLaglen

La superba creola

J.M. Sthal, 1947. Parabola avventurosa della scalata al successo “ad ogni costo” di un simpatico briccone sullo sfondo del “profondo e desolato sud” allora tanto di moda con un canagliesco Harrison e una bellissima O’Hara

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Il delfino verde

  • Avventura
  • USA
  • durata 141'

Titolo originale Green Dolphin Street

Regia di Victor Saville

Con Lana Turner, Van Heflin, Donna Reed, Richard Hart, Frank Morgan, Edmund Gwenn

Il delfino verde

V. Saville,1947. Due sorelle (la Turner e la Reed) si contendono Van Heflin in un drammone ottocentesco prolisso e avventuroso fra maremoti, calunnie, pentimenti e redenzione. Finale da “serrare il fiato in gola” (almeno nel ricordo)

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No
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