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Bellissima

Regia di Luchino Visconti vedi scheda film

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La recensione su Bellissima

di scandoniano
8 stelle

Splendido affresco viscontiano, a metà strada esatta tra il (suo) neorealismo ed i film del suo periodo d’oro, aiutato da una Magnani magistrale, che impersona tutte le sfumature dell’animo umano, dall’ambizione fino alla rassegnazione. Nonostante la brillante prova davanti alla macchina da presa, il meglio sta nel novero di professionisti che sta

Un ragguardevole novero di stelle davanti e dietro lo schermo. È riassumibile in questo modo “Bellissima”, film viscontiano atipico, lontano cioè dai drammoni in costume o dai film introspettivi, che poggia la sua veemenza su un crescendo di drammaticità affidato allo straordinario talento di Anna Magnani, che di fatto regge da sola il peso della storia. Insieme a Walter Chiari e ad un nugolo di caratteristi tutti molto ispirati, la Magnani inscena la storia di una popolana che si scontrerà con il prezzo del successo, il cinismo del mondo dello spettacolo, aspirando a quell’elevazione sociale verghiana con annesso, inevitabile, schianto con la realtà.

I titoli di testa riportano opulenti figure della nostra cinematografia del secondo dopoguerra, dagli aiuto registi Zeffirelli e Rosi, agli sceneggiatori Cecchi d’Amico e Francesco Rosi stesso, fino al soggettista Zavattini e al costumista Piero Tosi (futuro feticcio viscontiano). Un film che esce dalla rigidità espressiva de “La terra trema” per giungere alla fase di maturazione totale del regista milanese, facendo da cuscinetto nel traumatico passaggio da neorealismo a realismo, mantenendo del primo elementi piuttosto evidenti (come il suono in presa diretta, non sempre fluidissimo, e alcuni stereotipi nelle caratterizzazioni), ma proiettandosi di fatto verso il realismo di “Senso” e dei suoi epigoni.

Visto oggi, è il testamento professionale della Magnani, che lascia ai posteri, anche ai suoi pochi denigratori, una prova cristallina, che va dall’istrionismo con atteggiamenti civettuoli fino alla rabbia per il cinismo di una realtà che gli autori rappresentano come fasulla e artificiosa. La grandezza del film, detto della Magnani, sta nel non nascondere dove si andrà a parare, sciorinando il cammino verso l’inevitabile finale in maniera stentorea e solida. Un film che ha inoltre la peculiarità di non essere categorizzabile, nel senso di non assimilabile a questo o a quel movimento, vicino ad una tendenza o a un’altra solo in maniera marginale e mai inequivocabile.

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