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La casa del sorriso

Regia di Marco Ferreri vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La casa del sorriso

di hallorann
8 stelle

Festival di Berlino 1991. L’Italia fa il pieno dei premi più importanti: ULTRA’ di Ricky Tognazzi, LA CONDANNA di Marco Bellocchio e LA CASA DEL SORRISO di Marco Ferreri, Orso d’oro a sorpresa. Il verdetto viene accolto da alcuni fischi in sala a cui Ferreri risponde caustico: “Fischiate, fischiate…più fischiate più mi diverto”. Non poteva che essere così, il suo cinema non è mai stato accomodante e quest’opera inoltre era una commedia anomala, fuori dagli schemi festivalieri e dai circuiti commerciali, pur essendo lieve e moderna. L’ospizio teatro della vicenda è uno spazio riprodotto tra “Le Navi” di Cattolica e la periferia di Pesaro con un’oasi africana come punto di fuga sessuale ed esistenziale (sintesi della genialità creativa del regista). Adelina e Andrea sono i protagonisti principali: lei è una settantenne ancora piacente che ha perso da poco un figlio, tollerata da una nuora glaciale, affettuosa e ben voluta dalle anziane del pensionato; lui è un galante professore di chitarra araba bugiardo e impenitente seduttore, sposato con una ungherese ricoverata nel padiglione dei non più autosufficienti. Adelina e Andrea si innamorano e il loro amore fa scandalo soprattutto in chi gestisce l’ospizio. Una roulotte a forma di anguria di alcuni amici africani è il luogo in cui fare l’amore liberamente o quasi. Non saranno gli scherzi, l’invidia e le ostilità varie a separarli ma la natura umana. LA CASA DEL SORRISO è una parabola amara, divertente e poetica sulla terza età: l’amore non è una questione anagrafica, è eterno e indefinito. Ferreri rappresenta due mondi: quello occidentale ormai involgarito, assuefatto al linguaggio e alle immagini delle soap-opera, moralistico (il personale medico e paramedico, la nuora e la consuocera…) e quello terzomondista, africano per l’esattezza (“ti mando in Africa” come minaccia) raffigurato dal padiglione degli allettati accuditi e gestiti da personale di colore. Essi sono diversi, forse più rilassati, veri, festosi e colorati come gli amici di Andrea. Quest’ultimo (insieme all’impresentabile e becero avvocato) è la quintessenza dell’uomo che inebria, illude, promette, dice bugie e alla fine resta con i suoi surrogati (“e le mie chitarre? la mia collezione di abiti firmati?), mentre il futuro è donna. Adelina parte con gli amici africani, farà da guida e fuggirà verso un orizzonte autentico, non cartonato. Infatti, stavolta, il classico finale ferreriano sulla spiaggia è speranzoso sulle note di Henry Agnel e di “Amor d’un dia” dei Gipsy Kings. Del buon cast vanno ricordati la generosa Ingrid Thulin, Dado Ruspoli, le sorelle Fumo, Enzo Cannavale e altre belle signore attempate contrapposte alle antipatiche Lucia Vasini, Caterina Casini e Rosalina Neri. 

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