Regia di Ken Loach vedi scheda film
Un regista come Loach non è sinonimo nè di mezze misure nè di scorciatoie narrative,nè tanto meno può essere considerato un'esteta del cinema,se lo si considera come l'arte di raccontare storie lasciando più spazio all'immaginazione che alla cronaca.Questo può essere forse al tempo stesso un pregio ed un limite,e ne si coglie bene l'effetto in film come "Io,Daniel Blake" di crudo realismo,minimalista e minuzioso nel raccontare le mille difficolta del protagonista nel trovare una forma di sussidio che gli permetta di smettere di lavorare,dopo problemi cardiaci che ne minano irrimediabilmente la cosiddetta "capacità produttiva".Certo a volte troppa minuzia può risultare quasi fastidiosa,o comunque poco "cinematografica" per il discorso che facevo prima,ma resta il fatto che la qualità del regista si vede anche nella capacità di lasciare il segno,trasmettere un messaggio che,in film come questi,assume l'aspetto di un pugno nello stomaco dello spettatore.In questo trovo difficilmente una scena più efficace nel raccontare la nuova povertà come quella della banca del cibo,della fame che porta ad aprire una scatoletta prima ancora di averla messa via.Più che un film,alla fine ne risulta una sorta di documentario sullo tsunami economico di questi anni che porta molti ai margini di un'economia apparentemente prodiga di benessere ed efficenza,una forma estrema di neorealismo del nuovo millennio.
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