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Lo chiamavano Jeeg Robot

Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film

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La recensione su Lo chiamavano Jeeg Robot

di MonsieurGustaveH
8 stelle

Oltreoceano risulta ormai consuetudine l'utopica rappresentazione dell'eroe come essere perfetto. Per contro, ciò di cui abbiamo bisogno qui, in Italia (e ciò di cui ha bisogno il nostro cinema), non è affatto un eroe perfetto; e forse, non è nemmeno un eroe.

 

Si presenta così al pubblico Enzo Ceccotti, scalcinato ladruncolo perso in una Roma ben delineata ed egregiamente fotografata da Michele D'Attanasio. Grandiosamente interpretato da un corpulento Claudio Santamaria, egli conduce una vita "ordinaria", caratterizzata da una degradante routine giornaliera a base di budini alla vaniglia, sigarette e, dulcis in fundo, film pornografici.

Ciò che colpisce è come il regista - al secolo Gabriele Mainetti - ponga subito in risalto questa natura schiva e "marcia" del protagonista, elemento al quale purtroppo non si è più consueti dar credito dato il dilagante perbenismo recentemente diffusosi a macchia d'olio all'interno dell'ambiente cinematografico.

 

E' da chiarire che la componente supereroistica funge solo da involucro per avvolgere quel che Mainetti intende realmente offrire al pubblico attraverso una tecnica pregevolissima: per citare una tra le tante inquadrature folgoranti, l'immagine di Enzo che riemerge dalle acque torbide del Tevere che gli hanno donato - ancora a propria insaputa - i fantomatici poteri, è qualcosa di potentissimo.

Tali "poteri", vengono quindi acquisiti dal nostro eroe/antieroe (perche è di questo che si parla) in modo totalmente fortuito, addirittura quasi come conseguenza di una tra le tante malefatte compiute; siccome poi, per il buon Ceccotti, da grandi poteri non derivano grandi responsabilità, la prima applicazione pratica di questi ultimi avverrà con lo scassinamento di uno sportello bancario automatico.

 

scena

Lo chiamavano Jeeg Robot (2015): scena

 

 

In fondo però, senza girarci troppo attorno, nelle condizioni di Enzo e giunto in possesso delle suddette potenzialità, a chi non paleserebbe senza troppa difficoltà l'idea di togliersi qualche "sfizio" di questo genere?

A riprova di ciò, l'azione del protagonista viene subito immolata dai cittadini come grandiosità degna di murales, piuttosto che come atto deplorevole: in questa sede è inoltre da notare la presenza di una velata critica al sistema della notizia televisiva, che tende a spettacolarizzare e strumentalizzare anche i peggiori misfatti.

Ci troviamo quindi di fronte ad un personaggio che di perfetto o utopico ha in sè poco o nulla, e che per questo motivo riesce sempre ad essere coerente con sè stesso, con le parole che pronuncia e nelle azioni che ne conseguono.

 

Comprimario di spicco è invece Alessia, interpretata dalla tanto criticata Ilenia Pastorelli. Fanciulla ormai (fisicamente) adulta, ma (mentalmente) rimasta all'infanzia, è evidentemente traumatizzata nel profondo della psiche e si rifugia nel proprio mondo parallelo nell'attesa della venuta di Jeeg Robot d'acciaio, salvatore dell'umanità. Ad Ilenia è affidata la parte di sceneggiatura più sentimentale e profonda che, sorretta da una performance attoriale notevole, riesce a generare nello spettatore un'empatia che un qualunque altro mediocre interprete (e oggi purtroppo se ne vedono parecchi) avrebbe trasformato in derisione da parte del pubblico.

 

Ilenia Pastorelli

Lo chiamavano Jeeg Robot (2015): Ilenia Pastorelli

 

Infine, il ruolo del "villain" è affidato a Luca Marinelli, ormai certamente uno dei maggiori interpreti nostrani di nuova generazione. Il suo personaggio funziona perfettamente principalmente per un motivo: anch'egli è un uomo comune, ma che al contrario dell'apatico Ceccotti, ha come unici obiettivi potere e fama: ciò lo condurrà a divenire via via sempre più ossessivo, in un climax ascendente di follia. Amante della musica, rigorosamente italiana anni '80 (utilizzata originalmente come sottofondo delle rapine o semplicemente come base per lo sfoggio delle proprie abilità canore), lo zingaro è la perfetta rappresentazione di come il film sia conscio della propria italianità e non lo voglia nascondere, bensì esaltare come punto di forza.

 

Luca Marinelli

Lo chiamavano Jeeg Robot (2015): Luca Marinelli

 

Ottimo nella messa in scena, caratterizzato da una regia consapevole e mai troppo virtuosa, da un'ottima colonna sonora gestita in parte dallo stesso Mainetti, "Lo chiamavano Jeeg Robot" si impone prepotentemente come uno tra i migliori film italiani degli ultimi anni (probabilmente subito dietro a "Non essere cattivo" del compianto Claudio Caligari, tra i più recenti). L'ispirazione, chiaramente americana, viene quindi rielaborata in modo eccellente, con l'obiettivo di realizzare un film solido, i cui principali pregi risiedono appunto nella regia così come nella sceneggiatura: esattamente al contrario del cinecomic medio a stelle e strisce, luccicanti contenitori di effetti speciali miseramente svuotate da qualsiasi contenuto.

 

In poche parole, tutti hanno bisogno di un eroe; di questo eroe: Enzo Ceccotti, domani, potrebbe essere chiunque di noi.

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