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Amore e inganni

Regia di Whit Stillman vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Amore e inganni

di alan smithee
4 stelle

Trasposizione formalmente ineccepibile di un romanzo giovanile della Austen. Manca tuttavia l’anima e la vitalità presente in precedenti illustri altri adattamenti d’autore, mentre Stillman sembra limitarsi a curare scenografie e dettagli, lasciando che la partecipazione emotiva ed il coinvolgimento latitino altrove.

Autore di commedie sottili ma garbate, ambientate ognidove, sia geograficamente che temporalmente, ritorna Whit Stilman del riuscito Damsels in Distress, affrontando un romanzo epistolare giovanile di Jane Austen, Lady Susan.

Protagonista una ancor giovane e molto bella vedova inglese che, a soli quattro mesi dalla vedovanza, si appresta a mettere in piedi un elaborato piano per vedere di trovare un marito adeguato per lei e per l’ingombrante figlia adolescente, rinchiusa per la maggior parte della sua esistenza in un collegio per completare i corsi di istruzione scolare.

Facendo visita alla casa della cognata e moglie di Mr. Vernon, Susan, sulla quale circolano voci e pettegolezzi riguardo ad una sua condotta non proprio riguardosa dei comuni principi della morale dell’epoca, la donna rimane molto colpita dalla prestanza del fratello di lei, bello e ben più giovane di lei, che naturalmente non riesce a resistere all’attrazione per la donna.

In casa Vernon tutti si rendono conto di quanto la donna sta architettando, e dei tentativi di dare in sposa la giovane figlia al bizzarro ma facoltoso Mr. Martin, già suo amante clandestino, e per questo intervengono per cercare di dissuadere il giovane, allontanandolo dalla ragnatela sentimentale che la donna sta tessendo con abbaglianti risultati.

Alla fine la scaltrezza riuscirà ad averla vinta, con un raggiro che riserva alcune sorprese.

Per quel che attiene l’adattamento e le scenografie, Stillman si prodiga in un lavoro di ambientazione che risulta impeccabile.

Preoccupato comprensibilmente di riuscire a coinvolgere lo spettatore nelle trame amorose della protagonista senza farlo perdere in parentele e casate familiari sin troppo intricate, e per le quali necessiteremmo di un albero genealogico per orientarci, il regista ci presenta uno ad uno i molti personaggi che intervengono in questa strategica battaglia dei sentimenti e del portafoglio: elementi questi, cuore e denaro, che da sempre sono epicentro della letteratura che si occupa della oziosa e calcolatrice borghesia anglosassone di inizi Ottocento, spesso, se non sempre, pure al centro dei romanzi anche più famosi della celebrata autrice.

Certo l’adattamento di Stillman, se dal punto di vista formale non possiamo fare a meno di definire impeccabile, soffre tuttavia un po’ di una meccanicità che non possiamo ritenere estenuante, che non riesce proprio mai e poi mai ad appassionarci ai risvolti amoroso-calcolatori di personaggi davvero oziosi, antipatici, freddi ma nello stesso tempo nemmeno così cattivi da farsi ammirare per tale caratteristica.

La vicenda pertanto corre meccanica, gli attori coinvolti, pur impegnati a dare il massimo, appaiono davvero poco convinti e naturali: la stessa bellissima Kate Beckinsale ce la mette tutta per posizionarsi in zona “Nicole Kidman”, ma piuttosto senza buoni risultati: meglio ricordarla o rivederla in tuta aderente simil-pelle a dare la caccia a licantropi e vampiri piuttosto che vederla imbalsamata sotto corpetti che ne annientano le movenze mozzafiato; certo l’impegno per uscire da cliché ormai stravisti c’è, glielo riconosciamo, ma non basta per dare spessore ad un personaggio così al centro dell’azione, dell’intrigo, del gioco sentimental-ereditario che mira alla salvaguardia della posizione e anzi ambisce a prender quota nella scala gerarchica di una società pigra, dissoluta e utile solo a consumare e distruggere risorse, senza produrne di nuove: quindi economicamente, ma anche civicamente devastante.

Relegata ad un ruolo di scarso spessore, Chloe Sevigny non riesce a fornire un vero e proprio valore aggiunto; meno che mai Stephen Fry, mentre l’australiano belloccio Xavier Samuel, recentemente apprezzato nel Frankestein di Bernard Rose, si adegua diligentemente ad un ruolo di pura vetrina e spiccata, ridondante formalità.

 

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