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Una meravigliosa stagione fallimentare

Regia di Mario Bucci vedi scheda film

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La recensione su Una meravigliosa stagione fallimentare

di MarioC
7 stelle

Una squadra senza una guida, senza soldi, senza futuro. Ma con un sogno, che a volte basta a far sperare chi ha la forza di sognare come te.

 

Si potrebbero parafrasare il buon Lindo Ferretti ed i suoi compari. Il calcio è anche (e ancora) epica, da qualsiasi punto di vista lo si guardi ed in qualsiasi categoria esso si giochi, capace come è di creare eroi e di distruggerne altri, pathos, etnica (come meglio vedremo avanti), in parte, solo in parte, etica (quella che a volte resiste nei campetti polverosi di periferia, là dove il rincorrere una palla assume la funzione meravigliosamente dispersiva di diversivo ludico, in barba ad ogni sovrastruttura di mercato). E il calcio è, naturalmente, passione, quel sentimento di totale dipendenza e assoluta beatitudine assorta che ti fa amare una maglia ed i suoi colori, spesso solo quella maglia e quei colori. Passi chi vuole a far danni ed a considerare una squadra di calcio come un investimento: lassù ci saranno sempre cuori che battono all’unisono in attesa di un gol, di una discesa, di una risurrezione.

 

Una meravigliosa stagione fallimentare è la breve storia (romanzata il giusto, soltanto nelle scene iniziali e nei commenti che comunque non indulgono troppo ad una sporca poesia del quotidiano, concentrati come sono a rappresentare i fatti nella loro oggettività pur ironica) del Bari (anzi: della Bari, come sentimento popolare si ostina a chiamare la squadra) 2013-2014. Annata partita in sordina e tra mille difficoltà, con un fallimento annunciato, e poi sempre rinviato, da quella famiglia Matarrese che trattava il suo giocattolo come soprammobile ormai impolverato e senza anima, e finita tra ali di folla esultante che festeggiano una soltanto sfiorata promozione in serie A. Il calcio è paradosso: fattisi da parte i magnati e la loro progettualità senza orizzonti, il pubblico, distaccatosi dalle vicende dei beniamini, ricomincia ad appassionarsi a quei ragazzi che, senza stipendio da mesi, riprendono a correre ed a vincere, in attesa di quell’epifania economica (e un po’ misteriosa) che di lì a poco si compirà, donando nuova linfa ai sogni ed alle speranze. Perché il calcio sa essere anche mutuo su un futuro tutto da scrivere e di cui può solo immaginarsi un finale rutilante.

 

Il merito del documentario sta nella esposizione di una precisa, quasi chirurgica, compenetrazione tra una squadra di calcio e l’ambiente in cui vive ed opera. La Bari team è anche la Bari dei vicoli e degli entusiasmi popolari, della quasi metropoli disincantata, della forza che promana violenta dalla passione, del mare che ammalia il capitano bergamasco e il difensore uruguagio. La cavalcata verso la serie A, pur con il suo finale triste e dignitoso, è l’occasione perché il popolo, quel popolo, possa finalmente attuare la sua rivoluzione: deposti i Giulio Cesare irriconoscenti, resta, a gettare un ponte quasi metafisico tra passato e presente, un giovane albanese a segnare la doppietta che alimenta il fuoco di quel sogno; un giovane albanese che, venti anni prima, era sbarcato sulle coste pugliesi e da quella città era stato, magari malvolentieri, accolto (l’etnica del calcio, si diceva). Scelga chiunque la sua metafora preferita: intanto, molto bella è quella che all’improvviso squarcia il film e che concerne la vertigine orizzontale: quella che non ti fa aver paura di cadere, ma soltanto di perdere le cose che hai intorno, per cui hai sempre lottato e che invece paiono doversi, da un momento all’altro, smaterializzare.

 

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