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Captain Fantastic

Regia di Matt Ross vedi scheda film

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La recensione su Captain Fantastic

di Kurtisonic
6 stelle

Una scelta di vita radicale condiziona un uomo colto e i suoi figli. Confrontarsi con il mondo però costa non solo in termini di denaro e a dispetto delle grandi idee l'uomo scopre di non conoscere nemmeno chi gli è stato vicino. Della serie "anche le rivoluzioni hanno le gambe corte".

Samantha Isler, Annalise Basso, George MacKay, Viggo Mortensen

Captain Fantastic (2016): Samantha Isler, Annalise Basso, George MacKay, Viggo Mortensen

Un altro mondo è possibile o esiste già un altro mondo? L’interrogativo sembra dominare tutto il racconto del film di Matt Ross, regista di estrazione televisiva, particolare non così insignificante per agevolare la lettura di Captain Fantastic. Ruffiano, finto alternativo e in fondo omologante quanto basta, il film si presenta come il classico prodotto di marca indie la cui etichetta deve colpire più della sua sostanza ma almeno per un’efficace rappresentazione del personaggio principale interpretata da Viggo Mortensen e per il labile equilibrio che percorre la storia facendo vacillare qualche certezza, gli si può attribuire almeno l’attestato di buona volontà. Il “fantastico” Ben fa vivere i sei figli immersi nella natura, si sostengono con pochi mezzi nutrendosi della cultura dei libri e di esercizio fisico sotto la sua indiscussa guida, non hanno contatti con il resto del mondo tranne che in sporadiche occasioni nelle quali barattano dei manufatti che producono, rifuggendo tecnologia e modernità. La notizia del suicidio della moglie di Ben ricoverata in ospedale e il confronto con i genitori di lei metteranno in luce elementi di contraddizione e di scontro all’interno del gruppo. L’idea base è quella di mostrare un eden alternativo, dove trionfano razionalità ragione e applicazione dei saperi che si contrappongono alle alienazioni moderne, ai condizionamenti indotti dal neo liberismo, rifacendosi a quella società no global che si ispira al pensiero di Noam Chomsky di cui l’allegra brigata festeggia il compleanno al posto del Natale. Ross tuttavia non cade nel facile e sterile apologo del sostenere una o l’altra versione ideale, ma attraverso l’elaborazione del lutto da parte di tutti i personaggi farà scaturire una sorta di atto di pacificazione senza condannare né assolvere le diverse istanze sollevate nel film. La figura di educatore a 360 gradi di Ben è determinante per creare nei figli una coscienza civile e uno spirito critico, ma tenendoli distaccati dal confronto con la realtà a che cosa dovrebbe servire? La pochezza spirituale e il vuoto della società ultramoderna e tecnologica sono in grado di sopportare fattori di diversità senza riuscire a comprenderli? Il regista concede libero sfogo alle emozioni e ai sentimenti capaci di corrodere le differenze, perlomeno di mostrarne le comuni derivazioni e quel senso di umanità che affiora in qualsiasi condizione ci si trovi a vivere. Gli affetti e le relazioni stabiliscono dei legami indissolubili in tutti gli esseri viventi anche se possono presentare un caro prezzo da pagare ( anche a costo di scontentare qualcuno). Tuttavia il pericolo di proporre una specie di nuovo conformismo culturale incombe, il racconto appare abbastanza edulcorato nei dettagli e il messaggio utopico è molto più affine al pensiero dominante di quanto sembri. Il nucleo alternativo che vive tra sapere e natura se la cava piuttosto bene per non avere mezzi di sostentamento di un certo peso, e tutto sommato i ferrei convincimenti di Ben vengono scardinati dalla realtà dei fatti. Dunque la possibile diversità viene facilmente inglobata in un sistema che per quanto venga demonizzato contiene in misura più o meno profonda gli anticorpi positivi che lo proiettano indiscutibilmente verso il bene comune. Alla faccia della decrescita e delle teorie del povero Chomsky che credeva di essere preso sul serio. La componente emotiva resta l’unica rilevante e secondo la direzione del regista non deve risultare ad impatto zero. Il personaggio di Ben incontra gli snodi giusti per mettere a nudo la sua personalità non del tutto cristallina, mentre i figli denotano qualche lieve insofferenza e il nonno prima dispotico poi affabile pensionato non penserebbe altro che al bene dei nipoti. Alla pari di Into the wild dovrebbe vigere il rispetto della diversità delle scelte ma almeno nel film di Penn l’ingenuità del protagonista veniva fatta emergere in modo tragico. In Captain Fantastic non solo manca il tentativo approfondito di una messa in crisi dei modelli sociali di riferimento, ma si estrapolano elementi radicati nelle diverse posizioni per decorare il racconto con toni che devono armonizzare le fasi più intense e drammatiche con altre più leggere e dispersive senza che si cerchi di scardinarne criticamente i contenuti. Un’operazione che alla fine non offre che un dignitoso intrattenimento senza troppe pretese per un genere che sta diventando piuttosto ripetitivo e già sfruttato. Un’ estetica accattivante degna di Wes Anderson mescola il pentolone fumante, ma oltre ad una momentanea e sincera emozione non si va, peccato.

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