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Captain Fantastic

Regia di Matt Ross vedi scheda film

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La recensione su Captain Fantastic

di M Valdemar
6 stelle

 

 

locandina

Captain Fantastic (2016): locandina

 

 

Interessante («è una non parola»). L'idea. (L'esser, realmente, in concreto, antisistema, anticapitalismo, anticasta, antiistituzioni, nel bel mezzo di una foresta di principi rivoluzionari applicati, fuori dal mondo, fuori dalla giungla urbana di bieche tentazioni consumistiche). Che piace a tutti, che tutti vorrebbero idealmente mettere in pratica. Ma. Solo finché tale rimane. Il plauso giunge contemporaneamente all'inscalfibile presa d'atto che il sistema di valori comunemente accettato non è messo, mai, mai, minimamente in discussione.
E dunque.
Sotto gli spessi strati di ammiccamenti generalmente divertenti, sotto la superficie splendidamente florida di coltivazioni e colture colte, puntualmente rimarcate, e dietro i (paradossali) confini di una continua ricerca dell'approvazione per mezzo di quello che pare essere un simpatico gioco di ruolo (e di ruoli), la famiglia.
Un ritratto.
Famiglia disfunzionale circoscritta in un micromondo funzionale. Un altrove possibile, nel quale regole ne sovvertono altre (ben più "pericolose", in quanto accettate passivamente dalla massa in massa alla messa della cosiddetta società civile), nel quale un padre non si sente obbligato a mentire ai figli per "proteggerli" (anche di fronte alle questioni più "delicate"), e al rigoroso allenamento fisico ne corrisponde uno mentale che conduce allo sviluppo del libero pensiero critico, della propria identità slegata dalle untuose catene del conformismo dominante.
Una favola.
Come tale - con le stimmate della dramedy (annessi elaborazione del lutto e ostilità dei parenti) -, funziona. Il senso di Matt Ross per l'eccentricità, per i toni coloratissimi e coordinati (dominano il verde della natura e il riottoso rosso), per i costumi post-hippie armonizzati, per i volti naturalmente bellissimi (a partire dalla bellezza preraffaellita di Annalise Basso, oltre al capopopolo, il grande Viggo "minchia-che-fi(si)co!" Mortensen), per l'efficace propulsione dialogica-battutistica che centrifuga famelica alto e basso (toccante l'esecuzione "live" d'una Sweet Child of Mine felicemente rivisitata), per l'equilibrio nell'amalgamare contenuti ed estetica, riflessioni e sentimento, tragico e brillante, retorica e leggerezza - ebbene, tutto questo, si traduce in un'opera sì furb(esc)a ma altresì non priva di slanci di sincerità.
Una prima parte che solletica, una centrale che scardina, una finale che (deve per forza) risolve(re).
In mezzo a cotanto dispiegamento di direttrici narrative e istanze empatiche, una galleria eterogenea di personaggi variamente approfondita lanciata con forza nella storia e sullo schermo, ognuno col proprio ruolo, dalla piccola fissata con il lessico medicale virato al macabro al burbero nonno interpretato da Frank Langella (che sparisce sul più bello, ma tant'è).
A vuoto un passaggio, nel finale (che fine fa la richiesta di affidamento esclusivo in seguito alla fuga?), la conclusione non può che essere una: la virtù sta nel mezzo, nel compromesso. La realtà - per quanto orribile, contaminata, misera sia - non va evitata bensì affrontata. A modo proprio.
E comunque, un film che celebra così apertamente Noam Chomsky (mica male l'idea di festeggiarne i natali al posto di qualche mitologica figura fantasy) non può essere sbagliato.


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