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L'uccello dalle piume di cristallo

Regia di Dario Argento vedi scheda film

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La recensione su L'uccello dalle piume di cristallo

di Antisistema
8 stelle

Dario Argento, fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza. Sono passati 50 anni dal debutto cinematografico di colui che viene riconosciuto come un maestro del giallo all'italiana, del thriller e dell'horror, con un vero e proprio culto intorno alla sua persona sorto negli ultimi 30 anni, complice la rivalutazione del cinema di genere anche da parte della critica nostrana, che hanno finito con il trasformare Dario Argento in un brand con tanto di etichetta di "il regista di paura", un ruolo che interpreta ancora oggi e su cui allegramente ci campa, nonostante da decenni il suo cinema faccia veramente cagare con un crollo verticale della qualità delle sue opere, non riscontrabile in nessun altro regista, non per lo meno con la sua fama. 
Argento negli anni 60' era un giovane critico che scriveva per il Paese Sera, differenziandosi dagli altri, per il suo aperto sostegno verso il cinema di genere conferendogli pari dignità nelle analisi rispetto al cinema d'autore, aprendosi le porte verso la fine del decennio nel mondo del cinema, scrivendo sceneggiature per western di serie B sino al colpo grosso della stesura del soggetto di C'era una Volta in America di Sergio Leone (1968) insieme a Bertolucci, venendo poi cacciati via entrambi (o andandosene via loro, non s'è mai capito) perchè il regista romano mal sopportava l'esuberanza avanguardista di questi due giovani. 
Tramite le pressioni del padre, Argento riesce a portare al cinema una sua sceneggiatura ottenendo anche la regia di quello che sarà il suo primo film L'Uccello dalle Piume di Cristallo (1970), che per l'occasione rivedo per la seconda volta per dare anche una valutazione più ponderata. Molto si è scritto a proposito e a sproposito di questo debutto cinematografico, dove i primi commenti tiepidi segnarono il passo innanzi all'ottimo successo di pubblico ai botteghini e poi una generale riconsiderazione critica dalla fine degli anni 80', seppur già dei sostenitori li ebbe sin dalla sua uscita. Argento scommette nel thriller-giallo, genere che in Italia non era mai andato forte ai botteghini e su cui Mario Bava e Lucio Fulci ci hanno sbattuto la testa lungo tutti gli anni 60', forse i tempi non erano maturi, oppure magari ci voleva uno stile meno classico e più aggressivo, fatto sta che il regista romano ci riprova e vince la scommessa, seppur bisogna dire che molti di quegli elogi a-posteriori oltre ad essere esagerati (Il 10 di Quinlan è da denuncia), sono stati anche immeritati, poichè gli si sono attribuite innovazioni di cui non era affatto portatore. 
Ma andiamo con calma, L'Uccello dalle Piume di Cristallo, sin dal titolo che farà scuola perchè darà il via ad un proliferare film con nomi di animali del titolo, di cui Argento in modo molto arrogante credeva di detenere il copyright (il povero Fulci sarà il primo a beccarsi un'immeritata shit storm dal "regista di paura" per il suo Una Lucertola dalla Pelle di Donna), rivela sin da subito l'ossessione del regista verso gli animali (l'uccello), combinata con un elemento visuale (il cristallo), che funge da espediente per giungere alla risoluzione finale. 

 

scena

L'uccello dalle piume di cristallo (1970): scena

 

Sam Dalmas (Tony Musante), italo-americano che lavora in un istituto di scienze naturali, è il classico uomo qualunque alla Alfred Hitchcock, che trova scolvolta la sua esistenza quotidiana noiosa di stampo borghese, dall'aver assistito al tentato omicidio di Monica Ranieri (Eva Renzi) attraverso una grande vetrata di una galleria d'arte, mentre camminava per Roma, ritrovandosi sospettato dalla polizia capitanata dal commissario Morrosini (Enrico Maria Salerno) e al tempo stesso perseguitato dall'omicida, poichè quest'ultimo sospetta che l'uomo abbia visto qualcosa che cosa comprometterlo. 

I ricordi di quella sera, proiettati nella mente di Sam tramite dei freeze-frame, sono l'elemento innovativo introdotto da Dario Argento nel thriller, perchè l'uomo come in un giallo classico cerca di scoprire il colpevole tramite le informazioni datagli dalla polizia ed indagini e deduzioni personali, quando invece la soluzione del caso poggia sui suoi ricordi, quindi su un elemento puramente visivo, che se riuscisse bene ad inquadrare, porterebbe all'immediata risoluzione del caso. 

La risoluzione visiva a scapito di quella deduttiva-verbale è l'elemento di originalità introdotto da questa pellicola che poi il regista svilupperà in modo più efficace nei successivi lavoro, poichè per il resto è un thriller-giallo dalla sceneggiatura abbastanza traballante e dalle deduzioni abbastanza raffozzonate nel loro dinaparsi con un rapporto di causa-effetto poco fluido, però negli anni 70' Dario Argento era ancora un regista che aveva qualcosa da dire, grazie ad uno stile in grado di coprire (almeno parzialmente) i difetti del suo cinema, perchè il potere dell'immagine risolutiva riesce a far passare in secondo piano una sceneggiatura buona ma poco originale e qua e là sgangherata, alcuni dialoghi buttato lì, una risoluzione che a livello narrativo non torna molto efficacemente ed un finale-spiegone posticcio preso di pari peso da Psycho di Alfred Hitchcock (1960). I modelli di scrittura e di stile (primi piani a manetta, attenzione ai dettagli, zoom, soggettiva e macchina a mano) sono Hitchcock e Mario Bava, il primo per l'espediente del protagonista qualunque, umorismo marcato e gestione della tensione, mentre dal cinema di Bava pesca a piene mani da La Ragazza che Sapeva Troppo (1963) e da Sei Donne per L'Assassino (1965), in queste due pellicole praticamente c'è tutto Argento ed il suo cinema, quindi quest'ultimo non ha inventato il thriller-giallo all'italiana come la vulgata vuole, ma il merito và esclusivamente a Bava, però siccome i film di quest'ultimo non incassavano nulla e gli italiani hanno da sempre la memoria del pesce rosso, si è finito con l'elevare l'imitatore ad inventore; dopo 50 anni e la riscoperta del cinema di Bava è ora di dare a Cesare quello che è di Cesare e di dire le cose come stanno, Argento ha solo spinto all'estremo lo stile Baviano, dandogli un look molto anni 70', grazie anche all'ottima colonna sonora di Ennio Morricone e alla fotografia di Vittorio Storaro abile nel catturare le luci e costruire fonti di illumazione eccessive secondo la lezione Hithcockiana, partendo dalla vetrata enorme della galleria d'arte, sino alle scene di omicidi visti costruite secondo un piano da seguire, che nelle pellicole successive diventerà un vero e proprio rituale con le proprie "liturgie laiche" da seguire. 

Un buon film quindi che darà il via alla carriera di un regista di genere ancora oggi stimato, ma non è quel capolavoro o quel pellicola eccellente che i suoi fan vogliono, perchè infondo risulta essere frullatore iper concentrato di Hitchcock, Bava, un pò Fritz Lang, pellicole anni 60' come Blow Up di Antonioni (1966) ed un finale che mi ha ricordato il confronto finale del film Gli Occhi della Notte di Terrence Young (1967), ma stranamente meno estremo di quest'ultimo nell'idea di confronto finale. L'Uccello dalle Piume di Cristallo rispetto ai lavori di Mario Bava che sentono molto meno lo scorrere del tempo, lo si trova un pochino invecchiato o comunque legato al decennio anni 70', forse il regista avrebbe dovuto puntare molto di più sulle soluzioni visive (più omicidi e più violenza) a scapito di una trama gialla.

 

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