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Tango

Regia di Zbigniew Rybczynski vedi scheda film

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La recensione su Tango

di EightAndHalf
10 stelle

Quanto è dolce, ironico e ammaliante un paradosso? L'idea di un'umanità intera, estesa e variabile, rinchiusa dentro quattro mura movimentate e ultradinamiche come solo il Cinema è in grado di raccontarle. Il costante andamento labirintico delle nostre esistenze, che riempie disperato e ridicolo il vuoto di senso del tutto, come se ogni movimento fosse improvvisamente tracciabile e con grande attenzione non volesse intrecciarsi con quello di nessun'altro. E come se infine ci riuscisse, al prezzo ultimo però del senso stesso.
Muoverci e muoverci per nascondere qualcos'altro, voltare le spalle o tapparsi gli occhi nella routine, senza notare l'enorme elefante che tiranneggia e pesa sulle nostre inabissate coscienze. Ci ripetiamo come automi preconfezionati, imbalsamati in cadenze monotone e spaventosamente caotiche. Ci riduciamo agli sfarzi immanenti di una collettività quando la nostra singolarità è venuta meno, non perché lo desiderasse ma perché immobilizzata in una quiescente stasi emotiva. Ci esibiamo magari in una giostra danzante che urla nell'oceano dell'assurdo "questa è l'umanità, questa è l'umanità!", cercando di rivelarla, ma siamo intimoriti e improvvisamente coscienti della possibilità aspra e desolante di stare parlando solo con un altro robot, con un'altra creatura predestinata alla futilità. E dentro questa futilità sta tutto, dall'istinto al sentimento, dalla famiglia al lavoro, dall'intimità alla esibizione, perché il non-senso è l'unico minimo comun denominatore che possiamo usare come coordinata inconscia di vita. Finché la vita stessa diventa straniante, alienata, e questa è una conclusione ottenibile solo attraverso un potente sguardo su di essa, uno sguardo mascherato da sperimentazione, da gioco altrettanto futile, che possa lasciar trapelare un piccolo incubo geometrico ridondante, fastidioso ed assai eloquente sul destino di noi stessi e degli altri, e su come tutto sembra essere non tanto preordinato ma, più che altro, "incasinato", nel senso più volgare del termine, gettato in una centrifuga roboante dall'eco smisurata. Se e quando il confronto sarà possibile, e riusciremo a scivolare fuori da questo giocattolo meccanico calcolato alla perfezione e che non è ordinato da qualcun'altro, ma si è (dis)ordinato esso stesso chiamando l'appiattimento della propria coscienza "borghesia" e magari inquadrando ogni singolo atto in un gesto di quotidiana o media importanza, fino a che ogni singolo atto libero possa risultare difficoltoso all'interno di un simile contesto, fino a che non siamo in grado di fuoriuscirne e magari capire che ci siamo dentro e che anche noi vaghiamo senza meta nell'esistenza senza la necessità di grandi spazi o grandi tempi, ma solo nel caotico frammento di un mucchio di roba destinata all'autodistruzione, fino a che finiremo per non comunicare più, per passarci vicini senza accorgerci di noi, senza più vivere come palpabile la presenza altrui. Un cupio dissolvi di massa.
Una danza abnorme in cui i topoi diventano esseri umani, i modelli diventano concretezza, gli stereotipi più normali diventano legge di vita. Verso la solitudine del caos primordiale.
http://www.youtube.com/watch?v=HcEQbPVVLsk

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