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La sposa in nero

Regia di François Truffaut vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La sposa in nero

di laulilla
9 stelle

Davvero solo un "revenge movie", o un giallo "hitchcockiano", condotto dal regista (e dalla straordinaria Moreau) come una ironica sfida?

Altro film tanto imperdibile quanto introvabile, il cui DVD, miracolosamente, ho reperito in versione originale. Ho faticato parecchio anche a trovare il trailer: quello che conclude questa pagina ne aveva promosso la distribuzione negli Stati Uniti. Eppure è un gran bel film, nonché l’occasione per rivedere Jeanne Moreau in una interpretazione indimenticabile.

 

L’antefatto e il racconto

 

Il racconto, tratto da un romanzo di Cornell Woolrich, ha un antefatto importante che viene ricostruito con un lungo flashback, durante la “confessione” di Morane (Michael Lonsdale), verso la metà del film. Morane è uno dei cinque balordi giovanotti i quali, non sapendo come passare il tempo libero, avevano organizzato una sorta di tiro al piccione dalla finestra di un appartamento di fronte alla chiesa in cui si stavano celebrando le nozze di Julie (Jeanne Moreau) e di David (Serge Rousseau), Era stato un altro di questi sfaccendati, però, ovvero il malavitoso di mezza tacca  Delvaux (Daniel Boulanger perfetto nel suo phisique du rôle)  a deviare il tiro verso il basso, centrando in pieno il giovane appena sposato, che Julie sgomenta aveva visto cadere e morire senza un perché. Mentre i cinque erano fuggiti subito, separandosi e giurando che non si sarebbero mai più rivisti, Julie, dopo aver cercato invano di togliersi la vita, per lei ormai  senza significato, aveva indagato a lungo per identificare il responsabile dell’azione criminale riuscendo a individuare tutti coloro che avevano partecipato al macabro gioco e a raccogliere, per ognuno di loro, le notizie utili per vendicare con la morte la tragedia del suo David, amato fin da bambina. Confidava infatti che  ciascuno sarebbe caduto nella sua trappola, da Bliss (Claude Rich) il dongiovanni sedotto dal suo fare capriccioso, a Coral (Michel Bouquet), l'impiegato timido e complessato, soggiogato dal suo mistero, a Morane, il politico così narcisista (e così disattento) da non riuscire a evitare l’inganno di cui sembrava essersi accorto persino il figlioletto, il piccolo Cookie. Più difficile del previsto per lei, invece, “giustiziare” il pittore Fergus (Charles Denner) e l’ottuso Delvaux, il vero assassino; infine, però, la sua vendetta avrebbe raggiunto anche loro.

 

Il modo del racconto

 

Il film non procede secondo la diacronia degli avvenimenti, perché Truffaut vuole prima di ogni altra cosa presentarci, con la forza delle immagini, la disperazione di Julie: la vediamo all’inizio,  a qualche anno dal delitto che l’aveva resa vedova, sfogliare un album di fotografie, così evidentemente dolorose per lei da spingerla a gettarsi dalla finestra, prontamente bloccata dalla madre, che già altre volte le aveva impedito il suicidio. Il suo volto bellissimo e pieno di dolore, la sua fierezza e anche la gentilezza d’animo che si intuisce in queste prime scene non possono che conquistarci. Con la benedizione di Truffaut, dunque, Julie entra subito nel nostro cuore, dove rimarrà per il resto del film: solidarizzeremo con lei sempre, proprio perché il regista ci aveva predisposti a partecipare affettuosamente alla sua ansia di “giustizia”, né abbandoneremo questa nostra simpatia nel corso dell’intera vicenda, nonostante l’efferatezza della sua infallibile vendetta, preparata con razionale precisione e freddezza nei minimi particolari, ma attuata sul momento, in modo quasi sempre imprevedibile, perché la donna è sempre pronta ad adattare i suoi piani alle circostanze, ad afferrare ogni opportunità, a far fronte prontamente agli inciampi inattesi.

I progetti omicidi di Julie, tessere diverse di un solo unitario mosaico, si presentano come una sua doppia scommessa: col destino, beffardamente capace di scombinarli, e con se stessa. Emblematico, a questo proposito, il penultimo e assai complesso episodio, quello dell’uccisione del pittore Fergus, l’uomo che in lei aveva trovato dapprima la modella ideale, poi la donna sognata da sempre: i ritratti a lei somigliantissimi, che Fergus aveva dipinto ben prima di conoscerla, erano nel suo studio  a testimoniarlo; il turbamento di Julie, le sue esitazioni angosciose, il suo procrastinare le sedute, nonostante il pericolo incalzante di venire smascherata da Corey (Jean-Claude Brialy), il gallerista, ci pongono alcuni dubbi sulla specificità del film: davvero solo un revenge movie, o un giallo hitchcockiano, condotto dal regista (e dalla straordinaria Moreau) come una ironica sfida? Il giudizio che me ne sono fatta, per quanto poco possa valere, è che si tratti di un’opera assai più complessa (senza escludere, naturalmente, che la vendetta e la sfida ne siano temi centrali): un film sull’amore e sulla morte, la compagna inevitabile della vita e anche di qualsiasi amore che, per la sua durata nel tempo, coincida con la vita stessa. Questo è probabilmente il senso profondo del penultimo episodio, molto illuminante per comprendere l’intera pellicola, che continua a interrogarci e a farci riflettere a cinquant’anni dalla sua uscita.

 

 

 

 

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