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Colt 45

Regia di Fabrice Du Welz vedi scheda film

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La recensione su Colt 45

di alan smithee
4 stelle

C’è del marcio pure all’interno della polizia francese. A farne le spese un giovane ed abilissimo istruttore d’armi (Ymanol Perset), solitario cecchino senza famiglia né parenti, perennemente invidiato ed osteggiato dai colleghi più anziani, probabilmente invidiosi del suo talento, e per questo relegato a vivere in solitudine e a subire le angherie e i comportamenti irriguardosi e spesso oltre ogni limite di decenza da parte dei suoi commilitoni, che lo considerano come un odioso ruffiano primo della classe. L’unico collega con cui riesce a stabilire un rapporto di complicità è l’anziano Chavez (Lanvin), che da tempo porta avanti una battaglia contro la corruzione che sta corrodendo parte fondamentale del sistema organizzativo dell’arma, ed una graziosa collega bionda, premurosa ed affabile che non si fa scrupoli nel difendere il giovane, seriamente preoccupata della solitudine senza scampo che caratterizza la vita privata del giovane (l’attrice Alice Taglioni).

L’incontro fortuito al poligono di tiro da parte del nostro giovane tiratore con il poliziotto magniloquente e dai modi bruschi ma accattivanti Milo Cardena, militare di fama, molto carismatico ma anche molto discusso, catapulta il ragazzo, ancora galvanizzato da un ottimo risultato ad una competizione di tiro, addentro ad una congiura che lo vede implicato in prima persona in una serie di reati gravissimi e senza via d’uscita, tra morti, sparatorie ed esecuzioni di massa.

Il cineasta belga tosto Fabrice Du Welz, quello dello spietato e macabro Calvaire e del non più rassicurante recente Alleluja (presentato alla Quinzaine di Cannes 2014), regista dotato di una certa personalità, ma pure talvolta di una eccessiva furbizia di fondo, a mala pena trattenuta, ed anzi a volte persino ostentata nelle per nulla banali pellicole citate, pare qui impegnato senza troppa convinzione in un film di genere che ci auguriamo sia girato su commissione: un action insipido e prevedibile in stile Besson, quando il cinema francese vuol fare l’americano, e in fondo ci riesce come stile, ma molto meno come carattere e personalità, riducendosi ad una parata schizofrenica tutta spari ed inseguimenti, completamente senza pathos o carattere: personaggi stereotipati, schematizzati a tal punto da perdere completamente una propria personalità e credibilità, si dividono l’azione fino a divenire vittime di circostanze che la trama convulsa non si dà neppure molta cura di rendere plausibile. E se la Taglioni appare in poche scene giusto per contribuire a creare anche una sola minima sfumatura femminile (insufficiente a rendere plausibile un personaggio troppo poco sviscerato e pertanto ridotto letteralmente a singola pedina usa e getta), non risulta meno fastidioso il personaggio dell’onesto veterano reso con ordinaria diligenza, ma senza alcuna sfumatura in più, da un annoiato Gerard Lanvin.

Dal canto suo Joey Starr, faccia di cuoio mono-espressiva ma efficace, rende un po’ più attraente rispetto agli altri il suo personaggio di cattivo assoluto dalla progressione verso il male che lo rende sempre più epidermicamente sgradevole. Quanto al giovane Perset, occhio nerissimo e pungente su fisico iper-vitaminizzato e tutto nervi, fa del suo meglio per risultare accettabile, ma il film risulta davvero indigesto e macchinoso, tutto cliché e sparatorie viste mille volte, e un’azione meccanica e senza emozione che invoglia allo sbadiglio e a cambiare canale.

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