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Lo spaccone

Regia di Robert Rossen vedi scheda film

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La recensione su Lo spaccone

di millertropico
8 stelle

Tra i grandi classici del cinema americano degli anni '60 del secolo scorso, "Lo spaccone" si conferma ancora oggi come un riuscito e articolato saggio psicologico sul demone del gioco.

E' insomma una profonda metafora che induce lo spettatore a riflettere sulla vita come azzardo e su tutto quel che ne consegue. Il tutto raccontato  mantenendo un costante, perfetto equilibrio fra realismo semidocumentaristico e parabola esistenziale (e qualche tocco di noir).

Si configura anche come uno dei migliori risultati conseguiti da Robert Rossen, il regista, che qui sembra abbia davvero ritrovato lo smalto degli esordi.

Tratto da un racconto di Walter Tevis e sceneggiato dallo stesso Rossen insieme a Sidney Carroll, è la storia di Eddie Felson e del suo sogno di diventare un campione di biliardo e di vincere l'imbattibile Minnesota Fats di Chicago.

Per riuscire nell'impresa, si mette così d'accordo col suo amico e manager Charlie e comincia il suo viaggio di avvicinamento al suo obbiettivo.

Dopo aver battuto tutti gli avversari  che ha incontrato in provincia, finalmente giunto a Chicago, ha così la possibiliotà di conoscere Minnesota e di sfidarlo.

La disputa ha quindi luogo, e se all'inizio è Eddie ad avere la meglio, man mano che l'incontro va aventi il giovane finisce per perdere il controllo della situazione e alla fine è proprio Minnesota a vincere la partita.

Eddie però non si rassegna alla sconfitta e sogna una possibile rivincita. Saranno una fragile ragazza della  quale si innamora e un affarista senza scrupoli  ad aiutarlo nell'impresa.

Lo scontro decisivo, zeppo di momenti emozionanti, si risolverà per lui in un trionfo, , ma l'arrivo di una tragica notizia gli farà capire che sono altre le cose importanti della vita.

il film, che ha avuto poi un seguito molti anni dopo ("Il colore dei soldi" diretto da Scorsese nel 1986) ebbe un enorme successo di critica e di pubblico, aiutato anche dal contributo tutt'altro che secondario di un cast davvero strepitoso che pone in primo piano un magnifico Paul Newman attorniato da attori del calibrro di Piper Laurie, Jackie Gleason, Vincent Gardenia, Murray Hamilton, Jake LaMotta e George C. Scott (nel mefistofelico ruolo dell'affarist a che porterà Felson prima al successo, e poi alla rovina personale).

Ottima anche la fotografia (che si portò a casa un Oscar) affidata alle cure e alla competenza di un veterano come Eugen Schuftan ( che aveva già reso "magiche" e "inquietanti capolavori come "Meetropolis", "Lo specchio scuro" e "Il porto delle nebbie").

 

 

 

 

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