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Everest

Regia di Baltasar Kormákur vedi scheda film

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La recensione su Everest

di Spaggy
5 stelle

La 72ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia sceglie di aprire in nome della spettacolarità, mettendo da parte le pretese autoriali che un festival che si rispetti dovrebbe invece premiare. La sceneggiatura di Everest ha un alibi di ferro: basata su fatti realmente accaduti, è inattaccabile. Peccato però che Baltasar Kormakur, interessante cineasta islandese cooptato da Hollywood, decida di puntare più sulle immagini che sulla caratterizzazione dei personaggi.

La storia è pressoché nota. Siamo nel 1996 e raggiungere la vetta dell’Everest è diventato un affare economico e commerciale. Diverse compagnie, dietro il pagamento di una cifra che si aggira intorno ai 65 mila dollari, permettono ad annoiati benestanti, scalatori provetti, sportivi mai contenti e a uomini in cerca del proprio sogno da agguantare, di raggiungere la vetta più alta del mondo, quel posto in cui solo alcuni sono stati prima di loro. Nel campo base in cui alloggiano le diverse compagnie e in cui si tengono i training di preparazione, l’atmosfera è cameratesca, figlia della sensazione di essere i padroni del mondo. Non importa che ormai la montagna sia affollata come la linea B della metropolitana romana: dopotutto, cosa vuoi che sia che decine di persone abbiano in mente di sfidare le intemperie e la sorte lo stesso giorno e nelle stesse ore?

Partite le spedizioni, si raggiungono facilmente i vari step, fino a giungere nel punto più pericoloso dell’Everest, quella Cima Sud in cui si dice che il corpo umano inizi a morire a causa dell’aria troppo rarefatta. Sfortuna vuole che una tempesta raggiunga guide, scalatori e sherpa, provocando una strage senza precedenti.

 

Everest (2015): Teaser ufficiale italiano

Senza soffermarsi troppo sui dettagli della trama, Everest è costruito seguendo le direttive del disaster movie di prim’ordine. I primi 40 minuti scorrono nel presentare alla meno peggio i personaggi principali, facendoci scoprire dinamiche familiari, figli in arrivo, desiderio di conquista dell’ultima delle sette vette più alte al mondo, tentativi di risalita dopo precedenti fallimenti e sogni americani da portare a termine per ringraziare i bambini dell’asilo che si sono prodigati nella ricerca di fondi per l’impresa. Tanti personaggi da gestire fanno però perdere la bussola a Kormakur, che spesso lascia sospese linee narrative che avrebbero meritato almeno un ulteriore approfondimento. Non si capisce ad esempio come mai, dopo un training di due mesi, nessuno abbia pensato di controllare se le corde fossero tutte al loro posto (le guide esperte, salgono in vetta come se salissero nella terrazza di casa loro) o come mai ci si dimentichi nel momento clou di portare con sé bombole di ossigeno necessarie a tutti i partecipanti.

Jason Clarke e Jake Gyllenhaal si ritrovano tra le mani, nei panni dei esperti scalatori Rob e Scott, due personaggi fisicamente ben preparati ma psicologicamente deboli. Mentre del secondo, delineato come più attento al divertimento che al dovere, non ci viene spiegato il perché della sua fin troppo anomala stanchezza, del primo sappiamo che sarà un futuro padre di famiglia, con tanto di Keira Knightley mogliettina che lo attende sul divano di casa in Usa. Fin troppo sprezzanti del pericolo, decidono di fare squadra per non dover perdere ulteriore tempo nella scalata: li lega un’anomala amicizia, fatta di punzecchiature reciproche, che però non servirà ad assicurare il lieto fine.

Mentre il reparto maschile ha nelle mani la fisicità di Everest, a quello femminile spetta tenere alta l’asticella della lacrima. La situazione di emergenza è lasciata nelle mani di Emily Watson, responsabile delle comunicazioni del campo base, e alla citata Knightley (sempre scheletrica, nonostante gli otto mesi di gravidanza del personaggio) a cui si affiancano Elizabeth Debicki, sciapo medico della base alla prima esperienza, e Robin Wright, (brutta) moglie di un altrettanto poco approfondito Josh Brolin.

Sam Worthington, Emily Watson, Elizabeth Debicki

Everest (2015): Sam Worthington, Emily Watson, Elizabeth Debicki

 

Perdendosi nella banalità della lotta dell’uomo contro la montagna e ricordando quell’infausto dato statistico secondo cui uno scalatore su quattro nel tentativo di raggiungere la vetta dell’Everest perde la vita, Kormakur sembra voler cercare l’approvazione dello spettatore a tutti i costi, costringendolo a entrare in empatia con i personaggi attraverso subdoli tentativi di commozione. Due su tutte: la scena onirica in cui Josh Brolin si salva dalla morte certa vedendo la moglie e i figli illuminati da un alone paradisiaco e la chiamata tra telefono satellitare e walkie talkie tra la Knightley e Clarke sul finale.

Va però riconosciuto alla pellicola un uso ottimo del 3D nelle sequenze relative alle scalate in verticale. Chi soffre di vertigini è avvisato: la paura del vuoto resa dal film colpisce anche chi è fermo e attaccato alla poltrona.

 

ps: Piccola nota a margine. Diffidare sempre dalla campagna stampa messa in atto mesi prima dall'uscita di un film. Chi si ricorda delle foto messe in giro con Gyllenhaal nudo, rimarrà deluso. Tutti vestitissimi dalla prima all'ultima sequenza.

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