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Boyhood

Regia di Richard Linklater vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Boyhood

di silent bob
9 stelle

Un grande esperimento cinematografico che emoziona e fa pensare

Uno dei più grandi tilt provati durante la visione di un film.

Da un lato una storia, quella filmica, che procede per blocchi temporali in cui, semplicemente, la vita accade; dall'altro un'altra storia, quella degli attori, che invecchiano veramente davanti alla macchina da presa.
Nello scarto tra queste due storie c'è Boyhood, che se da un lato ammalia per come riesce a danzare con il trascorrere del tempo, dall'altro conferma quanto il cinema, in fin dei conti, sia finzione. Ed ecco il tilt che provoca questo incredibile lavoro, il cui enorme valore è insito, forse, più nelle riflessioni che suggerisce, che nella storia che racconta in queste tre ore.

Bravissimo Linklater a maturare la sua riflessione sul tempo, che qui diventa scorrere inesorabile laddove nella trilogia-capolavoro Before aveva sempre i contorni della nostalgia. Bravissimi i direttori della fotografia, che restituiscono una continuità di luce tale da far pensare che le riprese siano state effettuate durante un periodo limitato e continuativo. Bravissima la montatrice, a ricostruire e giustapporre un percorso così lungo e frastagliato. E bravissimi gli attori, capaci di rendere le diverse fasi della loro esistenza con la sola presenza, ogni volta diversa, sullo schermo.
Ho preferito (sia come momenti del film che come impatto mentale) gli adulti ai ragazzi.
Le scene con Ethan Hawke hanno qualcosa di forte ed evocativo e lui è così dentro alla storia da risultare molto più che credibile. C'è un'energia vitale forte e trattenuta, artefatta e reale in quei weekend dove il rapporto coi figli deve andare bene, in cui sono necessari il divertimento, la riflessione, la confidenza...gli attimi dove l'amore paterno c'è e deve emergere per forza, perché sono solo quelli i pochi momenti in cui il genitore può vedere i suoi ragazzi.
Un grande plauso va anche a Patricia Arquette (giustamente premiata con l'Oscar) che, pur nella finzione, toglie le barriere tra donna/attrice/madre. E non solo per quel suo sfogo nel prefinale, ma anche per come riesce ad evitare ogni complicazione alla crescita già incasinata dei figli, difendendoli in ogni situazione. Come ha scritto qualcuno la Arquette, entità vivente e indipendente da qualsiasi scrittura, "sfida le sue colleghe di tutto il mondo, impegnate da sempre, nel timore di scomparire, a cancellare i segni degli anni che passano. La vittoria è lì sullo schermo, nel ritratto di una madre finalmente più vera del vero".

Se è vero che si fa sempre più strada l'idea che al cinema, oggi, a fare la differenza non sia più il "che cosa", la storia, ma il "come" questa storia viene raccontata, allora qui siamo di fronte ad uno dei "come" più straordinari mai messi in scena.
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