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È simpatico, ma gli romperei il muso

Regia di Claude Sautet vedi scheda film

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La recensione su È simpatico, ma gli romperei il muso

di hupp2000
9 stelle

Claude Sautet dirige con maestria Romy Schneider, Yves Montand e Sami Frey in un triangolo amoroso denso di umanità e per nulla scontato.

Si potrebbe dire che la via del cinema è lastricata di triangoli amorosi. Quella del cinema francese ne è addirittura asfaltata. A più riprese, vedendo (anzi, rivedendo) “César et Rosalie”, mi sono venuti in mente dialoghi, scene e contenuti di altri capolavori, come “Jules et Jim” di François Truffaut o “Marie-Jo et ses deux amours” di Roberto Guédiguian, rendendomi conto che analogie e paragoni potevano moltiplicarsi a dismisura. Qui, però, c’è lo stile inconfondibile di un grande autore. Claude Sautet mette in scena tre personaggi strettamente legati da una vicenda sentimentale, ma ben distinti come caratteri e in un certo senso molto autonomi nel vivere le loro passioni.  César (Yves Montand), dirige una grossa azienda di rottamazione, è un uomo di successo, sicuro di sé e apparentemente soddisfatto. Ha una relazione stabile con Rosalie (Romy Schneider), donna di classe, libera, intraprendente e molto legata alla sua famiglia. Poi c’è David, (Sami Frey), artista disegnatore di fumetti, appena rientrato dagli Stati Uniti e antica fiamma di Rosalie. Per buona parte del film, si ha la sensazione che l’anello debole della situazione sia César, accecato dalla gelosia ben prima che ve ne sia motivo. Commette un errore dietro l’altro, diventa pedante, s’infuria, ricorre a mezzucci e piccole bugie. Come spesso accade in questi casi, finisce con lo spingere suo malgrado la donna che non vuol perdere tra le braccia del rivale. L’esito della vicenda è invece tutt’altro che scontato perché, da un lato,  Rosalie non è certo un personaggio che si lascia sballottare da un uomo all’altro, benché sia profondamente legata ad entrambi. Dall’altro, anche David ha le sue debolezze. Anche se non perde mai la bussola e sopporta con pacato distacco le intemperanze e le provocazioni di César, rivela una sorta di ambiguità nella sua relazione con Rosalie e, a un certo punto, sembra destinato alla sconfitta. Solo apparentemente. Nel frattempo, infatti, il suo rapporto con César si è modificato, mentre il pallino della partita è restato stabilmente nelle mani di Rosalie, che riserva allo spettatore un finale che sarebbe di pessimo gusto anticipare.

 

Claude Sautet, che tra molti meriti ha quello di aver rilanciato la carriera di Romy Schneider dopo la lunga e sfortunata parentesi tedesca successiva alla saga della principessa Sissi, ha il dono di saper valorizzare al meglio i suoi attori. Far accettare a Yves Montand un ruolo, che per buona parte del film è quello di un perdente, non deve essere stato facile. Si racconta (cfr. scheda del film su Allociné.fr) che l’inizio delle riprese sia stato piuttosto burrascoso. Poi, deve essere sorta una felice alchimia e i due collaboreranno a più riprese negli anni successivi. A Sami Frey consente di interpretare un personaggio di grande spessore, cosa che purtroppo non gli era spesso accaduta dopo la sua memorabile partecipazione in “Bande à part” di Jean-Luc Godard (1964).

 

Quello di Claude Sautet è un cinema di dialoghi e di recitazione che lascia poco spazio all’azione. I suoi luoghi prediletti per ambientare il racconto sono l’interno delle automobili, i bistrots e i ristoranti, pranzi e cene, interni di case o appartamenti. Situazioni assai comuni e, per un effetto quasi magico di questo tipo di cinema, lo spettatore si sente partecipe, integrato nella non-azione perché se ne sta seduto ad ascoltare, come gli attori che osserva. Viene in mente la filmografia di Eric Rohmer, altro gigante della stessa generazione, anche se in Claude Sautet l’approfondimento psicologico dei personaggi è forse più accurato e meticoloso.

 

L’ultima mia annotazione riguarda ovviamente la presenza, anche se in un ruolo di secondo piano, dell’allora diciannovenne Isabelle Huppert. Paffutella, come apparirà anche due anni dopo nel geniale “Les valseuses” (“I santissimi”) di Bertrand Blier, è in aperto conflitto con la silhouette che la caratterizzerà una volta lanciata nell’Olimpo del cinema. Fin dall’inizio, comunque, bucava lo schermo…

 

Insulso il titolo italiano!

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