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The Equalizer - Il vendicatore

Regia di Antoine Fuqua vedi scheda film

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La recensione su The Equalizer - Il vendicatore

di 79DetectiveNoir
8 stelle

Questa serie tv, no, cinematografica, è magnifica. Checché se ne dica. Suvvia, non fate le checche. Altrimenti, Robert McCall vi spaccherà il culo, ah ah.

Denzel Washington

The Equalizer - Il vendicatore (2014): Denzel Washington

Marton Csokas

The Equalizer - Il vendicatore (2014): Marton Csokas

locandina

The Equalizer - Il vendicatore (2014): locandina

Chloë Grace Moretz

The Equalizer - Il vendicatore (2014): Chloë Grace Moretz

Denzel Washington

The Equalizer - Il vendicatore (2014): Denzel Washington

 

Ebbene, dopo averlo preso in quel posto da sempre, no, dopo essermelo perso al cinema e, sino ad oggi, mai recuperato alla visione, dopo aver recentemente recensito il secondo capitolo di tal trilogia firmata da Antoine Fuqua, prima di assistere al terzo episodio ambientato in terra italica, a quanto pare quello conclusivo e forse il più brutto, ahinoi, dopo l’intermezzo personale della prima tranche del festival veneziano, eccomi qua, baccalà e quaquaraquà, a disaminarvi, libero da vincoli editoriali, il capostipite The Equalizer.

Ora, se Charles Bronson fu (ne) Il giustiziere della notte, Fuqua, memore di Taxi Driver e della puritana furia vendicatrice del “pazzo” lucido Travis Bickle, alias Robert De Niro e viceversa, oltre a centrifugare, mixare e reinventare a piacimento il succitato capolavoro scorsesiano per antonomasia, oltre a trarre spunto, naturalmente, dall’omonima serie tv alla base di questo suo opus trasformatosi, per via del commerciale successo avvenuto, per l’appunto, in un fatidico, eclatante trittico (da non confondere con un sonnifero dallo stesso nome che sarebbe servito a Bickle insonne, eh eh), afferra anche l’intuizione alla base del sottovalutato Man on Fire del compianto Tony Scott, ovverosia quella di utilizzare il suo feticcio Washington a mo’ di malinconico vendicatore (è il sottotitolo italiano, peraltro) e livellatore-risolutore che, non avendo nulla da perdere poiché già perse l’amore della sua vita, dinanzi alle ingiustizie perpetrate ai danni specialmente di giovani uomini e donne inermi e innocenti, diviene una macchina da guerra che pratica un glaciale sterminio impietoso contro chi si permise, permette e permetterà, illecitamente, di ledere vite umane altrui, danneggiandole in modo assai grave e traumatico, talvolta agendo in maniera scellerata e perfino omicida.

Stavolta, la molla che innesca la sua furia distruttrice non è ovviamente la minorenne Iris/Jodie Foster, neppure Lupita/Dakota Fanning del fuoco della vendetta, bensì la minorenne prostituta incarnata dalla carina Chloë Grace Moretz che ivi interpreta, giustappunto, un’Escort Lolita per la mafia russa di nome Alina. A proposito di Scorsese, la Moretz fu la bambina “Alice nel paese delle meraviglie” dello stupefacente e incompreso Hugo Cabret. Adesso è cresciuta ed è indubbiamente un’ottima figa. Sono passati circa dieci anni da The Equalizer e capite bene che di strada, a livello di estrogeni e sviluppo sessuale, ne ha fatta parecchia. Anche se qui interpreta una “passeggiatrice” che non rimorchia sui viali di via Stalingrado, in quel della zona Fiera a Bologna, bensì, nuovamente specifichiamo, un’intrattenitrice al soldo di papponi dell’ex Unione Sovietica le cui guardie del corpo, diciamo, prima la caricano in limousine e poi accompagnano tal accompagnatrice a trovare chi non solo la limonerà. Al che, uno dei suoi clienti l’aggredisce e le dà troppo dentro, lei reagirà e sarà scopata, no, picchiata a sangue dagli scagnozzi alle sevizie, no, al servizio del malavitoso mother-fucker. Ivan e Igor sono due nomi russi, negli anni ottanta soprattutto, usati e presi in prestito da molti genitori esterofili, filorussi italiani comunisti per chiamare i figli maschi, semmai nati a Casalecchio di Reno, e ho detto tutto. Ora che c’è la Meloni al governo, li chiamerebbero tutti Stalin, no, Benito. La Meloni, dopo il barbaro stupro oramai tristemente arcinoto accaduto in tempi non lontani, ha varato, come sappiamo, un provvedimento “disciplinare” per cui se la Moretz di Hugo Cabret dovesse marinare la scuola per andare a vedere Taxi Driver restaurato in 4K e, nel cinema ove avviene la proiezione, lei urlasse… qui De Niro era figo!, sarebbe incaprettata e spedita in una cooperativa sociale, forse a Sadurano, affinché possa essere “(ri)educata”, probabilmente psicologicamente e non solo, abusata, presa per il popò in senso lato veramente b di mano morta, da tutor calabresi laureatisi fra una mignotta ucraina e una zoccola del sud est perfino asiatico. Avete votato voi certa gente. Fra un paio d’anni, non lamentatevi quindi se un ragazzino molto intellettualmente minorato, no, mentalmente dotato, non importa se anche fra le gambe, se un duro e potenziale Martin Scorsese italiano in erba (ma sì, se fuma qualche spinello come Juliette Lewis di Cape Fear, chi se ne frega), per colpa di qualche innocua marachella da Johnny Boy di Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno, finirà come Leo DiCaprio di The Aviator e di Shutter Island.

E sarà lobotomizzato, no, psicanalizzato non da Ben Kingsley di quest’ultima pellicola dettavi, bensì da quello de La morte e la fanciulla oppure da quello di Sexy Beast. Rivogliamo i sogni alla Georges Méliès, eh eh!

Ecco, Robert McCall/Washington odia chi distrugge le speranze giovanili per istradarle al suprematismo da figli di puttana. D’altronde, sta leggendo Il vecchio e il mare. È un boomer come lo fu Ernest Hemingway o lui stesso sarebbe da internare e sottoporre a un coatto trattamento psico-farmacologico in quanto incapace d’intendere e di volere quando la sua rabbia prende il sopravvento e non riesce a controllare le sue aggressività represse che vanno presto contenute? Oggigiorno, d’altro canto, se vieni bullizzato e reagisci irosamente, sei giudicato da Paolo Crepet che definirebbe tal reazione entro i contorni dell’abominevole espressione... comportamento passivo-aggressivo di matrice fantozziana, figlio d’un disagio atavico per cui il soggetto in questione, frustrato dirimpetto agli attacchi subiti, non si comporta da Fabrizio Corona che fu. Corona il quale, comunque, a detta di Crepet, è malato di mente. Paolo invece è sanissimo. Pare che, dopo le stronzate che dice superficialmente, a casa sua, a tarda notte, si masturbi su tutte le ex di Fabrizio, optando una sera per Belén Rodríguez e l’altra su Nina Moric. Qualche volta, per non essere ripetitivo, si dà anche a Lele Mora, ah ah. Al mattino, poi legge Famiglia Cristiana fra un Bignami da psicologo della mutua e una nuova paziente “muta” da rendere ancora più problematica con la sua psicanalisi da quattro soldi che la fa(rà) sentire in colpa poiché la vuole e vorrà soltanto usare come esperimento da laboratorio delle sue elucubrazioni della min... ia al fine di ficcarla... nel suo nuovo libro del c... zo!

Robert, però, non De Niro, bensì McCall/Washington, ha ucciso dei pezzi grossi per vendicare l’abuso compiuto contro Alina. Dunque, dovrà vedersela con lo spietato Teddy Reno, no, Rensen, il cui vero nome altri non è che Nicolai Itchenko, alias Marton Csokas. Quest’ultimo un po’ somigliante a Viggo Tarasov/Michael Nyqvist di John Wick. No, più che altro il sosia fallito di Kevin Spacey. E Viggo Mortensen de La promessa dell’assassino?

Forse, a tutti questi Nic/kolai, è meglio mio zio di secondo grado, Nicola, e il fratello di mia nonna materna defunta. Che si chiama(va) Nicodemo, ah ah.

Nel secondo capitolo di questa sega di Crepet, no, di questa saga ove i cattivi terribilmente crepano, muore Susan/Melissa Leo, sposata con Brian Plummer/Bill Pullman. Dopo la morte di Susan, no, della moglie, McCall vaga fra Lost Highway lynchiane... incontrerà forse una Patricia Arquette simil Kim Novak di Vertigo oppure Bill Pullman del post-finale, mai visto, sempre di Strade perdute, acchiappato e inchiappettato dalla sceriffo di Stranger Things, alias David Harbour che qui incarna un poliziotto corrotto?

Vladimir Pushkin è invece interpretato da Putin, no, da Vladimír Kulich?

Denzel Washington è buono e caro, i finali di questo franchise sono iper-buonisti ma ricordate che se fa(re)te incazzare McCall, lui diverrà il babau, l’uomo nero. Eppur non avrà bisogno di divenire tale, già lo è come Barack Obama che stette a Denzel Washington, no, alla White House, eh eh.

Comunque, a parte gli scherzi e gli schizzi di sangue, a Paolo Mereghetti, The Equalizer fa schifo. Lo considera reazionario e compiaciuto nelle scene di violenza gratuita. Onestamente, Mereghetti, anche se dovesse subire delle ingiustizie atroci o se a subirle fossero persone a lui care, non me lo vedo nei panni di Robert McCall. Lui parla e giudica così in quanto, a differenza di McCall, secondo me, non ha mai letto L’uomo invisibile. È invece la storia della sua vita... Fotografia strepitosa di Mauro Fiore e, al di là, in effetti (speciali?), d’una certa gratuità immotivata della violenza ivi sin troppo esplicitata, The Equalizer spacca. Fuqua è un signor regista e gira con una classe e un senso del ritmo eccezionali. Per esempio, il confronto al ristorante, faccia a faccia, tra McCall & Rensen, è da pelle d’oca e Washington recita da dio. Il resto, che vi piaccia o meno, è storia del Cinema.

 

Marton Csokas, Haley Bennett

The Equalizer - Il vendicatore (2014): Marton Csokas, Haley Bennett

Denzel Washington

The Equalizer - Il vendicatore (2014): Denzel Washington

 

 

 

di Stefano Falotico

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