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La signora senza camelie

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La signora senza camelie

di yume
8 stelle

"E' la seconda volta che il cinema italiano del dopoguerra prende se stesso a soggetto delle sue narrazioni" (F.Rocco, 1953)

locandina

La signora senza camelie (1953): locandina

Scriveva Barbara Alberti con parole che possiamo tranquillamente applicare anche alla dama senza camelie, altro mondo stessa condizione:

“La Signora delle Camelie non è un romanzo da riassumere o da commentare: esso è semplicemente da leggere. Per i lettori maschi: aiuta a capire l’universo femminile, il migliore”.

Sinossi

Clara Manni, commessa in un negozio di tessuti, per la sua bellezza viene scelta per interpretare un film di scarso valore artistico ma di grande successo. Le sue doti fisiche richiamano un vasto pubblico, ma un produttore, Gianni Granchi, s'innamora di lei e vorrebbe farle interpretare "Giovanna d'Arco". La donna accetta la proposta di matrimonio dell’uomo perché si sente lusingata soprattutto dal suo interesse professionale, ma l’ambizioso progetto naufraga insieme al matrimonio senza amore. La corte di un giovane diplomatico col quale fugge la illude di trovare il vero amore, ma l’uomo è solo in cerca di avventure e intanto Gianni, in bancarotta, tenta il suicidio. Clara riprende a girare film di cassetta per salvare il marito dai debiti, ma il divorzio è ormai inevitabile.

Sola e senza mezzi, dopo qualche tempo torna da lui chiedendo di lavorare, ma lui la respinge gentilmente e lei dovrà riprendere la vecchia carriera in film insulsi .

______________________

E’ una dama senza camelie né protettori quella di Antonioni.

Il conte e il duca, generosi finanziatori dell’eroina di Dumas figlio, sono roba d’altri tempi.

Nel 1953, data del film, forse ci si ammalava meno di quella tisi che portò alla tomba Marguerite Gautier, la traviata, ma la vita non era migliore per la donna che, non avendo santi in paradiso,doveva pur vivere e un posto da commessa non era da disprezzare.

Quando però la fortuna le fa fare l’incontro giusto la bella fiaba sembra realizzarsi.

Anche senza fiori la nostra dama (Lucia Bosè) deve però stare al soldo degli uomini che, come nel secolo precedente, non si smentiscono.

Non più blasonati, i cinematografari d’assalto, fauna che razzola nel sottobosco di Cinecittà intenta a fare dell’invenzione dei Lumière una lucrosa occasione di guadagno, vedono nei begli occhi della commessa e in quel corpo da mannequin il modo per far soldi con filmetti a basso costo per grandi platee.

Antonioni va giù duro nella satira e, da maestro qual è, costruisce la storia con lo stile di quel tempo, un’Italietta allietata da fotoromanzi, canzonette alla Rabagliati, ba ba ba baciami piccina e via cantando.

Come raccontarla, altrimenti? Arriveranno le piazze alla De Chirico e il sax di Gaslini, la swinging London  e gli eleganti  fotografi in rolls decapottabile e loft in centro.

Per ora, infagottati in cappotti e grisaglie da sartoria sotto casa, quegli uomini girano come falene intorno alla luminosa bellezza di Clara che, sprovveduta e parecchio ingenua, passa da un uomo all’altro come il solito bell’oggetto da consumare.

La differenza è che in Dumas Marguerite i soldi li riceveva e li spendeva allegramente, qui li prendono i produttori e lei fa la gallina dalle uova d’oro.

Grande il cammino della donna nei secoli!

Quando poi uno dei produttori s’innamora di lei e con una di quelle subdole violenze di cui certi uomini sono maestri la costringe a sposarlo, lei cede non perché sia un’oca giuliva ma perché non ha alternative. Tornare al negozio di tessuti? Improponibile, suvvia! Ma i compromessi con la propria coscienza prima o poi presentano il conto.

C’è un console (Alain Cuny), terzo uomo del giro, un belloccio baffo-munito che la circuisce ben bene, fino a seguirla alla Mostra del Cinema di una Venezia old style, irriconoscibile, priva com’è dell’orda di cinefili (!) ammucchiati davanti al red carpet a elemosinare selfies.

Lei è lì a presentare il gran disastro che il marito ambizioso l’ha costretta a girare, un Giovanna D’Arco di cui spariscono ben presto le tracce anche dai cinema parrocchiali.

Lucia Bosé, Andrea Checchi

La signora senza camelie (1953): Lucia Bosé, Andrea Checchi

Il console, dopo averla illusa sul suo grande amore e aver avuto buon gioco visto lo stato di prostrazione della poveretta, la molla quando lei è cotta a puntino con valigia e tutto per lasciare il marito.

Momento topico della fuga del maschio, tutti ce lo aspettavamo.

Il marito, ormai ex, non essendo più il suo produttore, la tratta con gentile distacco quando lei torna umilmente a chiedere lavoro ora che lui ha ripreso quota grazie al suo aiuto. La nostra Clara, infatti, quando, dopo la pulzella d’Orleans, lui stava andando in bancarotta, era tornata per un po’ a girare filmetti e l’aveva salvato.

E anche questo ce l’aspettavamo.

Ora, sola e senza mezzi, o torna a girare filmetti usa e getta o niente, per roba seria sta arrivando la grande attrice americana!

Alla nostra dama senza camelie non resta che arrendersi e sorridere ai fotografi per la foto di scena con pascià e odalische, mentre una lacrima scende sul suo bel viso, lentamente… lentamente…

Metacinema in parallelo con Bellissima di Visconti, stessi anni e giusta satira di quel mondo, il cast è tutto di prim’ordine e mette in scena un demi monde che qualcuno doveva pur far vedere, se non altro per togliere qualche illusione di troppo sul mondo del cinema.

La Bosè, fino ad allora quasi sconosciuta, prese il posto della Lollobrigida e mai scelta fu più mirata. Una bellezza lontana dai cliché del tempo, levigata ed elegante ma non altéra, che va oltre le mode di un mondo che non sembra il suo.

Checchi e Cervi, maritoil primo ed entrambi produttori, l’affiancano da comprimari eccellenti nell’affresco di un’epoca e di un ambiente che ha prodotto grande cinema, ma ha anche lasciato tanto spazio al trash.

Le parole di un autorevole critico ci aiutano nella comprensione:

"E' la seconda volta che il cinema italiano del dopoguerra prende se stesso a soggetto delle sue narrazioni. (...) Il primo fu Visconti con 'Bellissima' (1951) (...) Il secondo è Michelangelo Antonioni, il quale, con 'La signora senza camelie' offre una pittura meno vivida e scavata di quella del suo predecessore, ma, in compenso, ne precisa e determina il significato di costume. (...) Hanno nuociuto indubbiamente all'opera la fretta con cui è stata realizzata e lo schiamazzo che le si è fatto intorno." (F. Rocco, "Rassegna del Film", 13 aprile 1953).

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

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