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Madame Bovary

Regia di Sophie Barthes vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Madame Bovary

di alan smithee
6 stelle

Al quesito se fosse necessaria una ennesima trasposizione del celebre, meraviglioso romando di Flaubert, la risposta non può che tendere al diniego. Tuttavia se, dopo almeno tre versioni ufficiali per il cinema (quella di Renoir del ’33, quella americana del ’49 a cura di Vincente Minnelli, e quella più recente di Chabrol del ’90 – ma ne esiste anche una versione tedesca del ’69 con la Fenech (?!?)), si cerca di fare un raffronto di come i vari cineasti hanno inteso affrontare il racconto, prima di tutto non si può fare a meno di notare come il cinema, di fronte a capolavori assoluti della letteratura, non possa fare a meno che intervenire sotto forma di riduzione, essendo impossibile, per esigenze di tempo e di complessità di narrazione, comprendere e trasporre ogni singola particolarità ed eccezionalità del racconto.

Detto ciò è interessante notare come ogni autore tragga dalla propria sensibilità o da ciò che più ritiene favorevole al proprio stile di racconto, solo alcuni spunti che compongono il romanzo, tralasciandone altri che invece appaiono magari in altre rappresentazioni.

La versione della giovane regista Sophie Barthes, al suo secondo lungometraggio, trova nella giovinezza e nella carnalità dei suoi giovani protagonisti la via per discostarsi ad esempio dalla traduzione cinematografica di Chabrol, che pur vantando una meravigliosa ma già quarantenne Isabelle Huppert, si contornava di un cast di attori maturi nel ruolo di mariti ed amanti che attorniavano il vortice senza uscita in cui si incanalava la travagliata protagonista. Qui invece Mia Wasikowska (impegnatissima attualmente al cinema, spesso in ruoli in costume) trasuda la sensualità, quella appartenente ad una giovinezza sottilmente ed inevitabilmente esuberante che desidera esprimersi e trovare una appropriata collocazione sociale che la valorizzi, e che molto presto intende andare oltre il matrimonio di convenienza in cui solo per poco tempo la donna riuscì ad identificarsi e a credere.

In questo stesso senso gli amanti della donna, fisicamente appropriati ad essa per sensualità e prestanza fisica nella persona di Ezra Miller e Logan Marshall-Green, contribuiscono a rendere questa ennesima versione come un interessante celebrazione della sensualità giovanile che si aggiunge all’arrivismo senza scrupoli che porta alla follia e alla rovina senza ritorno.

Efficaci ed opportuni appaiono inoltre Paul Giamatti nella parte dell’insinuante tentacolare farmacista, mente Rhys Ifans nella parte del mellifluo mercante-usuraio viscido e freddo come un rettile da giudizio universale.

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