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L'uomo che bruciava i cadaveri

Regia di Juraj Herz vedi scheda film

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La recensione su L'uomo che bruciava i cadaveri

di undying
8 stelle

Dalla (ex) Cecoslovacchia un film che critica, con lucida messa in scena, l'ideologia reazionaria e distruttiva del regime. Un dramma che conduce lentamente il protagonista lungo la perdizione. Perdizione di se stesso, prima ancora che dei sentimenti umani.

 

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Seconda guerra mondiale, Cecoslovacchia. Kopfrkingl (Rudolf Hrusínský) è l'addetto al crematorio comunale. Uomo semplice, modesto, dalla insignificante apparenza. Concepisce l'attività come missione divina, in una lettura distorta delle filosofie buddiste sulla reincarnazione, certo che l'opera di "incenerimento" del corpo umano privo di vita, renda più facilmente libera l'anima e contribuisca a lenire la sofferenza del distacco terreno. In questo grigio contesto esistenziale, tra la ripetitività del macabro lavoro e la consuetudine di una monotonia familiare vissuta nella modesta condizione degna del regime comunista, Kopfrkingl subisce la suggestione di un amico nazista, arrivando ad abbracciare la filosofia nichilista della purezza ariana. La certezza che, nel sangue, stia la discriminante tra razza pura e razza di individui sacrificabile, anzi destinata alle fiamme (vivi o meno non importa), lo conduce sulla via del tradimento (designando gli ebrei alla cattura dei nazisti) e dei più irragionevoli delitti.

 

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"Dio sapeva ciò che diceva quando disse: 'Ricorda, polvere sei e polvere tornerai.' Un crematorio è gradito a nostro Signore. Accellera la nostra trasformazione in polvere. Alcuni obiettano, dicendo che Cristo è stato sepolto, non cremato. Non è esatto: imbalsamarono il nostro Salvatore. Lo avvolsero in un lenzuolo e lo seppellirono in una grotta (...) nel mondo terreno si costruiscono crematori, non senza una ragione o per visitarli come se fossero musei. Dopo le tribolazioni della vita, questi consentono alle persone di riposare in pace e d'essere trasformate in polvere. Ho un bellissimo libro sul Tibet. Pagina 38, per esempio: 'La sofferenza è un male che dobbiamo eliminare, o perlomeno alleviare. Tanto prima un uomo sarà polvere, tanto prima egli sarà libero. Trasformato. Illuminato. Reincarnato.'" (Kopfrkingl) 

 

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Partendo da un racconto dello scrittore di Praga, Ladislav Fuks (anche sceneggiatore) il prolifico regista cecoslovacco Juraj Herz, qui alla sua terza regia (e attivo sino al 2014) porta in scena un desolante ritratto della vita quando, più che circondata dalla morte, sottoposta alla privazione di umanità causata dai regimi totalitari (rossi o neri non fa differenza). Evidentemente il regista è intenzionato a descrivere -con lucida analisi- l'avanzare in certe Nazioni di una ideologia suggestiva e, per quanto oggi ripudiabile, all'epoca quasi ipnotica per le masse costrette a subire l'influenza reazionaria di un leader indiscutibilmente accettato, acclamato e -quindi- voluto (Hitler).

 

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Se è vero che il primo tempo di Cremator sembra quasi un asettico documentario sulle procedure scientifiche del processo di incenerimento, è nella seconda parte che il dramma acquista spessore e che la tragedia si sposta dal piano ultraterreno della morte (la filosofia semplificata della reincarnazione buddista) a quello più concreto della vita. Di una vita vissuta nello squallido contesto di una concezione distorta e totalitaria. Una vita che si muove nel grigiore asfissiante di edifici cinerei, tanto quanto i resti dei corpi destinati alla cremazione. Settantacinque minuti contro i dieci/venti anni della sepoltura, sono più che sufficienti a rendere l'uomo in cenere. Polvere siamo, polvere torneremo, sembra ricordarci Juraj Herz: l'importante sarebbe non rendere grigio, fumoso, inutile e vuoto anche questo breve momento di passaggio.

 

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Girato in un bianco e nero ben fotografato, Cremator non si distingue per la messa in scena o per l'esposizione del contenuto. Al contrario: una sola cremazione viene ripresa senza alcun eccesso o dettaglio di girato. Anche la macchina da presa segue i protagonisti, spesso riprendendoli dall'alto, senza mai farsi -essa stessa- partecipe degli avvenimenti. È invece il contenuto, dirompente, e al limite della denuncia di regime, del secondo tempo che lo rende titolo coraggioso e interessante. Un film che, cinquant'anni fa, criticava apertamente l'ideologia nazista. Sembra una cosa di poco conto, ma considerata la -purtroppo- debole memoria dell'essere umano, andrebbe ripescato soprattutto oggi, per essere proiettato nei più diversi contesti. 

 

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