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Unbroken

Regia di Angelina Jolie vedi scheda film

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Tato88

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La recensione su Unbroken

di Tato88
5 stelle

E dunque non sorprendono affatto la mancate nomination agli Oscar per il film della Jolie, ad eccezione per la direzione della fotografia effettivamente stupenda e che ci aiuta a superare i lunghissimi 137 minuti di durata della pellicola. Questo è infatti il primo macro problema di "Unbroken", film lento e prolisso oltre ogni sopportazione la cui ragion d'essere deve essere rintracciata esclusivamente nella bellezza delle immagini, nell'elegante composizione delle inquadrature e non certo nella piacere di raccontare la storia di un uomo sì straordinario, ma non più delle altre centinaia di prigionieri che insieme a lui hanno condiviso il dramma dei campi di detenzione giapponesi.

Questo è invece il punto di forza narrativa del film: Louis Zamperini non è un grande eroe come ci si aspetterebbe e come si aspetta Mutsushiro Watanabe, il capo dei secondin, da un atleta olimpionico. Al contrario Louis è un uomo dall’animo debole che si dispera, sviene, piange e che rivela tutta la sua fragilità ogni qual volta che senta la fine avvicinarsi. Appare infatti eccessivamente costruita e fuori dal personaggio quella che vorrebbe essere la scena madre del film (mostrata nei trailer, negli spot, nelle locandine: il sollevamento della trave) dove il protagonista mostra improvvisamente una forza fisica e d'animo che non gli appartengono.

Ma io le ho capite le intenzioni della Jolie, nobili e ambiziose ma per molti versi non riuscite: costruire un rapporto controverso e ambiguo tra i due caratteri principali della pellicola, lo sfortunatissimo Louis (interpretato dal pacatissimo Jack O’Connel) e il suo aguzzino Watanabe (tale Miyavi di origine cantautore, che non riesce ad attirarsi come vorrebbe l'odio del pubblico), un rapporto ambiguo di amore e odio, invidia e ammirazione reciproca che eventualmente potrebbe, in accordo con i cliché americani, estendersi a metafora delle due nazione di appartenenza. Ci ha provato, ma le emozioni rimangono intrappolate nella sceneggiatura e risultano solo un esercizio di scrittura.

A risentirne però è l'intero risultato: "Unbroken" perde così la sua forza trainante, lo stimolo all'immedesimazione e la curiosità di sapere come va a finire la storia che ci viene raccontata con poco più pathos di un impersonale documentario. Rimane soltanto un susseguirsi di eventi e situazioni - in un ordine e in una combinazione inedita, certo – ma già visti in svariati film molto più riusciti (però sapete, era proprio con questa argomentazione che l’invetore Robert Kears vinceva la battaglia legale nel film "Flash of Genius" e gli veniva riconosciuta la paternità del tergicristallo a intermittenza: l'aver saputo ricombinare in maniera creativa e originale una serie di moduli inventati da altri).

Eppure, in conclusione, questo film qualcosa di buono ce l'ha (e ringraziamo FilmTv per aver introdotto la mezza stellina) e l'ho già accennata: la straordinarietà delle inquadrature. Sospese, statiche, lente, magnificamente composte (colpiscono in particolare i primi piani dei prigionieri lerci di fuliggine e carbone che si voltano verso il fuori campo sperando di scorgere i simboli degli alleati sulle ali degli aeroplani che sorvolano il campo di prigionia).

Quindi il suggerimento che mi sento di dare ad Angelina è di dedicarsi ad un bel progetto fotografico. Sicuramente otterrebbe risultati migliori.

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