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Sacro GRA

Regia di Gianfranco Rosi vedi scheda film

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La recensione su Sacro GRA

di Decks
3 stelle

Un cerchio che non quadra, un amalgama di generi, scopi ed espressioni figurate malriusciti, malposti e mal digeriti anche dal pubblico più temerario. Un uroboro i cui contenuti si mangiano progressivamente tra loro, ove la bella fotografia non basta a salvare un film che avrebbe fatto miglior figura in veste di corto.

Prima di iniziare la recensione del seguente film vi è una domanda da porsi, sembrerà dappoco, eppure è cardine dell'intero contenuto scritto: esattamente, cos'è "Sacro GRA"?

Di getto la risposta pare ovvia, ma d'altro canto, riflettendo più a fondo, si svelano numerosi interrogativi: è un documentario? È una fiction italiana atipica? È pura contemplazione voyeuristica? È un tentativo di riqualificazione delle periferie di Roma?

Ancora oggi la risposta è ignota, però sappiamo per certo che è il vincitore del Leone d'Oro di Venezia del 2013.

 

Su ciò ci sarebbe da discutere ampiamente dato che l'opera di Gianfranco Rosi gareggiava e ha sconfitto film validissimi quali "Stray Dogs", "Under the Skin", "Miss Violence", "Zero Theorem" e "Si Alza il Vento" tanto per citarne alcuni, tuttavia non siamo qui per sentenziare le scelte fatte dalla giuria della mostra internazionale di Venezia.

Concentrandosi sul lungometraggio, c'è da dire che Rosi qui ha trovato il suo linguaggio, dopo averlo affinato in "Below Sea Level", da questo momento in poi confermerà il suo modo di vedere il mondo con l'attenzione rivolta alle zone più veraci, più sciagurate che compongono il nostro paese corredate da un certo simbolismo.

Quella di Rosi è un'ambizione antropologica (che continuerà con "Fuocoammare") della rivalutazione della semplicità, resa speciale dal suo sguardo poetico sugli eventi.

Scritta così, questo suo punto di vista sugli eventi (chiamamolo così), sembra essere motivo di stima per il lungo lavoro di un regista che vuole rendere partecipe qualsiasi spettatore e rendere immortale su pellicola quella che noi presumiamo essere banalità, tuttavia non è così.

 

scena

Sacro GRA (2013): scena

 

I momenti documentaristici, è vero, sono unici, traspare tutto l'impegno nel portare alla luce un progetto davvero difficile e denso: tra questi possiamo citare le sequenze nel cimitero o l'ambulanza sulla neve che sono una vera meraviglia per gli occhi.

A tal proposito è bene apprezzare quanto Rosi in veste di fotografo abbia un innegabile talento visivo: i suoi squarci di Roma sono qualcosa che raramente si è mai visto in altri documentari nostrani e addirittura in passati e presenti film aventi come location la capitale; è davvero il caso di dirlo, grazie al lavoro della fotografia Rosi riesce a rendere una certa sacralità al GRA dandogli un fascino tutto suo e incuriosendo lo spettatore a spingersi sempre più nei meandri di queste periferie appariscenti.

 

I veri problemi sono altri, ma prima di esaminarli, è bene valutare anche il rovescio della medaglia: la macchina da presa documentaristica, salvo rare eccezioni, dovrebbe essere fra le più oggettive della cinematografia, invece da questo film traspare tutto tranne il tangibile. Rosi si compiace e più che rimanere saldo ai principi del cinema cade nella bruttura della pubblicità: come se dovesse mostrarci la sua collezione di monetine ci impone un punto di vista velleitario, volto alla riqualificazione della periferia romana quasi fossimo in una pubblicità progresso del Ministero dei beni e delle attività culturali all'interno del palinsesto della Rai. 

 

Come se non bastasse, Rosi aggiunge al documentario una frammentarietà narrativa, che oltre ad esser confusionaria è composta da personaggi poco empatici, ai quali la recitazione toglie la spontaneità necessaria ai fini del documentario.

Anche in questo caso non sappiamo dove trovarci. Se tra una fiction o un'opera di un cineasta.

Lo spettatore è dunque costretto ad ipertrofizzarsi, aumentare la sua soglia di sopportazione e cercare di aggrapparsi al lato contemplativo, lasciandosi scivolare addosso le metafore sparate continuamente e i pretesti narrativi insensati volti ad

allungare il brodo.

 

Un cerchio che non quadra, un amalgama di generi, scopi ed espressioni figurate malriusciti, malposti e mal digeriti anche dal pubblico più temerario. Il film di Rosi è un uroboro che consequenzialmente si mangia sé stesso (la parte documentaristica viene ingerita dalla parte di rivalutazione urbanistica, quest'ultima è inghiottita a sua volta dalla parte narrata/fiction del racconto e così via).

Una bellissima fotografia non è sufficiente a rendere questo lungometraggio gradevole anche al pubblico più temerario; di certo avrebbe fatto una miglior figura in veste di corto.

L'interrogativo rimasto è l'inspiegabile vittoria a Venezia.

Fortunatamente in nostro soccorso giunge il buon Maurizio Nichetti che meglio di chiunque altro ha saputo spiegare il perché di questo riconoscimento:

 

"Il fatto che, nel 2013, a vincere il Leone d'oro sia Sacro GRA, un documentario, dovrebbe far riflettere: secondo me è la risposta un po' disperata di un mondo che rimpiange il cinema neorealista e che ha perso di fronte al fantastico, al virtuale, alle tecnologie dei blockbuster. Che possono essere brutti o sorprendenti, ma comunque sono nuovo cinema. L’Italia però non riuscirà mai a fare quel tipo di cinema, perché non ha il sistema produttivo adeguato: allora la risposta è di aggrapparsi al cinema del reale, di tentare di far vincere Lumière su Meliès. "L’uscita degli operai dalla fabbrica dei Lumière" diventa così più importante del "Viaggio nella Luna" di Meliès..."

 

Scene Cult:

 

• L'ambulanza sulla neve

 

Pregi:

 

• La fotografia

 

Difetti

 

• La regia

• Metafore invadenti

• La contaminazione della parte narrata

• La contaminazione della parte di riqualificazione

• Fintamente intellettualistico

• La scarsa oggettività

• Supponenze e lungaggini voyeuristiche

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