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La mia classe

Regia di Daniele Gaglianone vedi scheda film

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La recensione su La mia classe

di OGM
9 stelle

“Adesso facciamone una in cui tu non dici niente, nemmeno: mi dispiace che tu stai male.” In questo film Daniele Gaglianone dirige Daniele Gaglianone, nelle vesti del regista di un film che a volte è proprio quel film, a volte è un altro, ossia una storia inventata che racconta la verità, e in cui ognuno dei personaggi finge di essere se stesso. Il gioco del dentro e fuori funziona alla perfezione, perché il documentario che la troupe sembra girare in una scuola di italiano per stranieri è una messa in scena che rispecchia un dato reale: lo sforzo concreto che ci è richiesto per poter immaginare il diverso, per poterlo vedere come protagonista di un’esistenza che è contigua alla nostra, e si svolge accanto a noi, però è parzialmente nascosta dietro le difficoltà linguistiche e le differenze culturali. Chi ha scritto il copione e sta mettendo le battute in bocca agli “attori” verifica, in vivo, sulle loro persone, la validità dell’idea che di loro si è fatto, e la loro disponibilità ad adeguarvisi, oppure a correggerla, in una situazione di confronto aperto e paritetico. Nasce così la rappresentazione teatrale di ciò che non è, ma potrebbe essere, e di ciò che sembra, ma forse invece non è. In questa opera la nostra concezione ipotetica del mondo degli immigrati viene ad interagire con la loro verità, trovando un punto d’incontro nella capacità di convertire in un discorso naturale e spontaneo, ma pur sempre fantasioso, l’arduo compito di comunicare, di descriversi, di spiegarsi. Valerio Mastandrea, a cui è affidato il ruolo del maestro, è la figura-ponte tra il processo di immedesimazione tecnica, di passiva obbedienza alla sceneggiatura, e la trasfigurazione cinematografica dell’io, in cui è l’individualità a ricreare il testo, usando i suoi vincoli unicamente come la cornice entro cui dipingere il proprio autoritratto.  L’insegnante svolge la duplice funzione di presentare al pubblico i dettagli della sua professione, e di dare, agli allievi-interpreti, una dimostrazione pratica di come ognuno possa parlare di sé con parole che sono in parte le sue, in parte gli sono state suggerite, senza, tuttavia, che l’ascoltatore sia in grado di distinguere tra i due livelli espressivi. Forse è proprio questo il senso più autentico dell’integrazione: la sintesi attiva, condivisa ed equilibrata tra ciò che finora siamo stati  e ciò che adesso stiamo scoprendo. Questo, d’altronde, è il modo in cui nel corso della vita, si continua a crescere e ad imparare, filtrando ed incamerando la nuova conoscenza attraverso le esperienze pregresse e le emozioni presenti. La mia classe è una  poesia in versi sciolti sulla fatica del divenire, che, per l’essere umano, è necessariamente un lavoro collettivo, impensabile al di fuori di una società pluralistica e in costante trasformazione. 

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