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Scarpette rosse

Regia di Michael Powell, Emeric Pressburger vedi scheda film

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La recensione su Scarpette rosse

di Peppe Comune
9 stelle

Il potente impresario Boris Lermontov (Anton Walbrook) sta allestendo il balletto “Scarpette rosse” ispirato ad una favola di Andersen. Scorge tutto ciò che gli serve nella figura leggiadra di Vicky Page (Moira Shearer), per la quale pronostica un futuro glorioso. La prima del balletto è infatti un successo incredibile e Lermontov già pregusta tante repliche in giro per il mondo. Ma succede che tra Vicky Page e Julian Craster (Marius Goring), un giovane compositore scritturato da Lermontov per scrivere le musiche per il balletto, scoppi l’amore e questo non si sposa affatto con il modo totalizzante con cui l’austero impresario concepisce il fare arte. L’amore tra i due amanti è quindi ostacolato dalla ricerca della perfezione artistica e per quanto Vicky ami molto Julian, rimane molto attratta dal continuare a ballare con le “celebri” scarpette rosse.

 

Moira Shearer

Scarpette rosse (1948): Moira Shearer

  

 

“Scarpette rosse” del duo in inglese Michael Powell ed Emeric Pressburger è ancora oggi un classico della cinematografia mondiale per la magniloquenza che veste di colori sgargianti la messinscena e per il modo tutt’altro che usuale per l’epoca di riflettere sulla complessa natura dei sentimenti umani. Un’opera che oscillata con raffinata proprietà di stile tra i dettami “classicheggianti” del cinema narrativo e i tagli innovativi impressi alla narrazione stessa da un modo assai incisivo di far dialogare la regia ed il montaggio.

“Scarpette rosse” e marchiato a fuoco dall’esposizione “melodrammatica” dei sentimenti, per un caleidoscopio di emozioni mutevoli che si intrecciano l’un l’altra in una scenografia policromatica di grande impatto visivo : l'amore, la superbia, l’ambizione, la gelosia, l’insicurezza, la fragilità, tutto contribuisce a vestire di fascino l’intreccio composito dei sentimenti umani. Se c'è un movente che fa da motore all'intera trama, credo che questi vada ricercato nella tendenza del tutto umana, ma non necessariamente naturale, di arrivare ad istaurare un rapporto totalizzante con le proprie passioni. Tendere alla perfezione artistica o vivere con le imperfezioni dei sentimenti ? Annullarsi nella sublime esteriorità del talento artistico o assecondare l'intimità degli impulsi del cuore ? Questi sono i dilemmi impliciti che percorro il film e che fanno di “Scarpette rosse” un affresco fiammeggiante sul rapporto tra il mestiere di vivere e la sua sublimazione nell’arte, un rapporto che nelle sue venature speculative non passa mai di moda.

La musica è una materia celestiale e dal suo connubio con il ballo se ne ricavano vertigini di meraviglia che stordiscono gli occhi di bellezza. In questa poesia in movimento, i corpi diventano tutt’uno con lo spazio del palcoscenico, fino ad annullarsi totalmente nell’esibizione artistica portata in scena. Ma tanta perfezione esige una devozione senza condizioni e quindi può iniettare un senso di frustrazione, sia in chi non sa corrispondere appieno alle aspettative richieste, sia in chi sposta sempre più avanti l'esito desiderato. Per questo motivo, la pietra angolare dell'intera storia è la figura austera del potente impresario Lermontov la cui personalità aderisce perfettamente allo sviluppo narrativo del film per il suo oscillare tra la ricerca della perfezione e l'ansia di non raggiungerla mai. Lermontov è un uomo che pensa che “la vita non ha importanza”, che solo quella passata a ricercare la perfezione da esibire sul palcoscenico e degna di essere vissuta. “Per me il ballo è un vero culto e nessuno tiene a vedere la propria religione praticata in un ambiente non consono”, dice in modo sprezzante ad inizio del film ad una signora che gli chiede di assistere al ballo della nipote. Ecco, i dialoghi, si muovono sempre lungo le direttrici imposte dalla devozione per il ballo e sono sempre orientati ad evocare disastri relazionali tra chi non si trova lungo la stesa lunghezza d’onda. Anche Vicky Page, a Julian Craster che gli chiede come “si immagina la sera della prima”, risponde quasi in maniera solenne “in guerra con il pubblico”. Parole che danno chiara l'idea di quanto “calorose” siano le passioni e con quanto ardore vengano vissute. Da un punto di vista cinematografico, il tutto si traduce nel come il ballo tenda ad assorbire in maniera pressoché esclusiva ogni relazione umana e nel come questa modalità di approccio alla vita acquisti un carattere metaforico per riflettere sulla vita che fugge via senza averla vissuta in tutte le sue molteplici sfaccettature. La stessa regia, attraverso l'uso di colori fiammeggianti e con dei movimenti di macchina che aggrediscono ogni spazio del teatro, contribuisce in maniera decisiva a conferire questo carattere totalizzante all’arte del ballare. Così come le “scarpette rosse” mutuate dalla fiaba di Andersen, che evocano un carattere metaforico che va al di la del puro dato narrativo. Sono lì come un oggetto sognante, ma alla fine di tutto, inducono a porsi una domanda : non cessano di fermarsi per far ballare come mai si è visto ballare qualcuno o per invitare a fuggire dai limiti esistenzisli in cui è stato rinchiuso il destino di chi le indossa ?

Oltre la personalità debordante di Lermontov, in una posizione intermedia, si pongono le figure di Vicky Page e Julian Craster, i quali, se da un lato amano a dismisura l'arte che praticano e per la quale hanno dedicato una vita intera, dall'altro lato non hanno alcuna intenzione di sottrarsi ai richiami dell'amore che li vedono uniti per la vita. Entrambi sono disposti a rinunciare a qualcosa pur di salvaguardare la purezza del loro sentimento, ma appartengono ad un mondo che considera ogni cedimento lungo la strada che conduce alla perfezione artistica come un fallimento grave che investe un'intera esistenza.

In questo quadro dalle forti tinte melodrammatiche ovviamente celebre è tutta la sequenza dello spettacolo “Scarpette rosse”, dove musica e ballo si mischiano dentro una sontuosa sinfonia scenografica che accompagna il corpo leggiadro di Vicky fino al limite della sua resistenza fisica. Sul palcoscenico entrano in scena tutti gli elementi che hanno fatto di “Scarpette rosse” un grande film : l’intreccio narrativo, che trova il suo climax ottimale nella realizzazione desiderata del talento artistico,  la sontuosità policromatica delle scenografie e il montaggio, che fa straripare l'incanto del ballo ben oltre lo spazio del palcoscenico. Il ballo viene infatti sottratto dall’immediatezza “realistica” del teatro per essere trasfigurato in una veste scenografica di abbagliante efficacia stilistica. Il cinema gli dona una veste del tutto nuova e inusitata, un intero mondo per potersi esibire. Un privilegio donato a chi non è in platea. Questi vedono solo un corpo che si muove con leggiadra bellezza sulle tavole di un palcoscenico, intento a fare della perfezione ricercata la recita di un’intera vita. Gli altri avranno la sensazione di vedere danzare la vita stessa a braccetto con la sostanza dei propri sogni. Potenza del cinema, che Powell e Pressburger hanno portato ad un livello formale con pochi eguali.

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