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Posh

Regia di Lone Scherfig vedi scheda film

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La recensione su Posh

di Speusippo
3 stelle

Fascinosa nobiltà contemporanea, ambienti elitari, privilegi orgogliosamente ostentati, riti e conflitti, gioventù piacente e ribollente: tra le premesse, ben poco pare mancare a "Posh", film di Lone Sherfig tratto da un'opera teatrale di Laura Wade.

 

La vicenda posta al centro dell'opera, che ha come cornice il prestigioso scenario costituito dall'Università di Oxford, ruota intorno al Riot Club: trattasi di un esclusivo cenacolo per ricchi e brillanti studenti attivo dal 1776, versione fittizia del realmente esistito (ed esistente?) Bullingdon Club. Inizia l’anno accademico e due tra i membri dell'associazione, avendo terminato i propri studi, liberano i relativi posti all'interno del circolo: è dunque necessario individuare una valida coppia di proseliti da iniziare. Miles ed Alistair, studenti di bell'aspettto dalle personalità e dalle visioni opposte, accedono al club superando alcuni tra i rituali d'accettazione più tipici delle singolari tradizioni legate ai college anglosassoni: la consueta e viziosa cena dell’esclusivo circolo può dunque essere allestita. Attorno a tale evento gravita il resto dell'opera, che culmina con una macabra tragedia - forse l'unico coup de théâtre propriamente tale.

 

Eccettuate le premesse, quasi nulla rende "Posh" un film degno di visione: i centosei minuti che lo compongono scorrono noiosamente tra personaggi inconsistenti quanto un ectoplasmatico sciame di fantasmi, interpretazioni acerbe e poco convincenti, eventi concatenati in maniera farraginosa, lacune che impoveriscono la trama e rallentano il naturale ritmo dell'opera, tematiche tra loro sovrapposte senza che a nessuna venga concesso il giusto respiro, tempi non sempre azzeccati, e scarsi lampi d'originalità. Il tenativo di coagulare le vicende narrate in una riflessione orientata alla critica sociale, la quale avrebbe una delle sue più nitide manifestazioni nello scontro che si consuma tra i sopracitati Miles ed Alistair, risulta scialbo e orchestrato senza intelligenza: tra storielle sentimentali, malvage goliardate e ben poco accattivanti sequenze di vuoto cosmico, al termine di "Posh" ci si sente soltanto frustrati: come se si fosse stati costretti a osservare per centosei minuti un tiratore incapace di centrare il piattello almeno per una volta. Non è soltanto il tentativo di critica sociale, infatti, a fallire: in "Posh", potenzialmente adatto a un pubblico di sedicenni alla ricerca di un principe degno di Buckingham Palace, nemmeno i volti dall'elegante fascino britannico di Max Irons e Sam Claflin trovano scene in grado di valorizzarli, magari con qualche valido spunto romantico. Il colpo di scena finale, emblema dell'impulso distruttivo e animalesco proprio di chi tutto può e tutto ha meno che un'educazione profondamente tale, stordisce sì, ma senza mordente.

 

Perché non centrare il film sulla storia romantica che coinvolge il protagonista, rendendolo così un discreto prodotto d'intrattenimento per coloro che amano il dramma sentimentale? Perché, altrimenti, non costruire la storia unicamente attorno al conflitto tra i due personaggi principali, insistendo con profondità su tematiche quali la degradazione morale, il sopruso di matrice sociale e la ricchezza come mezzo di corruzione? Perché, volendo proporre un'altra alternativa, non trasformare l'opera in una boccaccesca o casanoviana sequenza di gustosi episodi derivanti dalla singolare condizione socio-economica dei membri del club? Mistero. La Scherfig, ad ogni modo, ha puntato su tutto e ottenuto (quasi) niente. In sostanza, "Posh" illude e delude con la meccanica precisione di un metronomo.

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