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Big Eyes

Regia di Tim Burton vedi scheda film

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La recensione su Big Eyes

di supadany
6 stelle

Ormai è chiaro, e lo è sempre più in tempi di sfruttamento massiccio, come il biopic sia un trappolone nel quale, presto o poi, cascano dentro tutti e che raramente permette di aggiungere qualcosa di significativo, almeno quando si parla di artisti della più alta caratura e fama. Non fa eccezione Tim Burton che in Big eyes, pur allestendo un panorama visivo personalizzato, non confeziona certo uno dei suoi film migliori, nemmeno rimanendo all’interno di questa fase della sua carriera, tutt’altro che ricca di titoli memorabili.  

Reduce da una separazione, Margaret (Amy Adams) è una giovane artista che dipinge, per passione e per raggranellare qualche spicciolo, quadri con protagonisti bambini dagli occhi enormi.

Quando conosce, e in breve sposa, Walter Keane (Christoph Waltz) sarà proprio il suo secondo marito a commercializzarle, convincendola ad assumerne la paternità per sfruttare il suo talento di venditore.

Mentre il successo continua a crescere, al punto da farli diventare milionari, Walter è sempre più intransigente e tronfio, mentre Margaret decide di ribellarsi, conscia della necessità di dover smascherare un lungo imbroglio.

 

Amy Adams, Christoph Waltz

Big Eyes (2014): Amy Adams, Christoph Waltz

 

Per la serie, dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna. Chiaramente, si spera che questo modo di dire sia adoperato per descrivere realtà ben diverse da quella esposta in Big eyes, una storia che meritava di essere divulgata anche per il suo valore intrinseco perfettamente aderente al mondo dell’arte, nel quale rubare un’idea, soprattutto se la vittima nutre fiducia nella controparte, non è complicato.  

Grazie a una frode artistica colossale, vengono sollevate parecchie questioni, dalla differenza di opportunità tra i sessi, con le condizioni di subordine personale e caratteriale, così come discorsi più generali come, ad esempio, quanto sia arduo smascherare una bugia, tanto più quando la stessa è ormai consolidata come verità, per una rappresentazione - non proprio meditata ma evidente - sull’arte, sull’autenticità e la copia, il talento e l’arrivismo, figlio del dio denaro.

Discorsi importanti, sviluppati con decoro e una partecipazione piuttosto controllata. Non ci sarebbe nulla di male se il responsabile fosse un giovane autore ma da Tim Burton è lecito attendersi una manifestazione ulteriore.

Ciò avviene soprattutto nella descrizione estetica, tra le architetture – San Francisco è una manna – e colori che sembrano fuoriuscire da un quadro degli anni ‘50/’60, più ovviamente nel tratto emotivo, personale e poi universale, di quegli occhi spavaldamente fuori scala.

Questi tratti non possono comunque essere determinanti ma per fortuna, il nome dell’autore ha permesso di avere il meglio in scena: gli interpreti principali rendono credibili i personaggi, con Christoph Waltz capace di figurare come lestofante in un attimo, con tanto di lato oscuro in fase crescente, mentre Amy Adams trasmette la crescita di un lungo travaglio interiore, una trasformazione inderogabile.

In ogni caso, Big eyes arriva alla fine quasi senza fiato, dovendo seguire un procedimento protocollato dal quale non può (non riesce) a liberarsi, rimanendo più valido nei suoi molteplici messaggi rispetto alla pura e semplice valenza artistica, mitigata, quasi frenata.

Da Tim Burton è lecito attendersi di più, sempre.

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