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Che strano chiamarsi Federico

Regia di Ettore Scola vedi scheda film

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La recensione su Che strano chiamarsi Federico

di Spaggy
10 stelle

Connubio di diario, fiction e ricordo personale, Che strano chiamarsi Federico di Ettore Scola ripercorre le tappe della duratura amicizia tra Federico Fellini e lo stesso Scola, indivisibili da quando si incontrarono nel secondo dopoguerra nella redazione del giornale satirico Marc’Aurelio.

Partendo dal momento in cui Fellini, poco meno che ventenne, arriva al giornale inserendosi all’interno di una redazione che vanta tra gli altri Maccari, Age, Scarpelli e Steno, Scola ricostruisce il percorso che porterà il maestro di La dolce vita ad affermarsi nel mondo del cinema, prima italiano e poi internazionale. Facendo ripercorre gli eventi da un narratore presente in scena (che finisce in una sequenza per interloquire con i personaggi), Scola non dimentica di sottolineare il fermento dei primi anni da vignettista satirico, trasformati in un periodo di formazione durante il quale sia Fellini sia egli stesso imparano a manipolare e a sistemare quei mattoni che saranno alla base della loro carriera cinematografica.



Scegliendo un bianco e nero che riporta ai tempi di una stagione che fu e che mai più si ripeterà, Scola affida agli attori il compito di ricreare un’atmosfera permeata di ricordi personali ed emozioni che sono ben lungi dall’epitaffio. Con l’in­serto di fotografie, spezzoni tratti dalle opere di Fellini e registrazioni sonore della voce del maestro di Rimini, l’attenzione viene posta su quanto il loro legame sia stato fondamentale nel corso degli anni e su quanto abbia influito nell’aiutare entrambi ad andare avanti, anche quando critica e botteghino non erano ancora pronti ad accettare una certa idea di cinema.

Passando per la Roma notturna filmata da Fellini e riportata sullo schermo grazie a una soluzione tecnica nostalgica, Scola costruisce un’opera che procede di amarcord ed evita la didascalia. Senza ombra di pedanteria o volontà di cercare il consenso a tutti i costi, usa soluzioni tecniche a prima vista povere per sottolineare l’essenzialità del cinema vista come arte (interessante a proposito il discorso fatto pronunciare a Sergio Rubini, nel ruolo di un madonnaro barese di Piazza Navone, sulle sette arti in generale e la visione contrastante che Fellini invece aveva) di creare, ricreare e modificare la realtà.



Con il mitico Teatro 5 di Cinecittà a far da piacevole ombra, Che strano chiamarsi Federico è il regalo di un amico ad un amico, oltre che un prezioso diario per le generazioni future. Sincero, commosso e onesto, il film riesce a far ritornare in vita personaggi come Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman o Alberto Sordi, restituendo ad esempio al cinefilo curioso i provini che gli ultimi tre sostennero per quel Casanova che Fellini non volle far interpretare all’amico (riflesso di ciò che egli non era fisicamente).

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