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Grand Budapest Hotel

Regia di Wes Anderson vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Grand Budapest Hotel

di laulilla
9 stelle

Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino del 2014, è un un film leggero e amabilmente surreale, tra i migliori del regista.

Nell'inesistente regno di Zubrowka, fra la Polonia e la Germania, il fascinoso Gustave (Ralph Fiennes) era il concierge (e anche un po' il direttore) di un grande albergo, il Grand Budapest Hotel, uno di quei prestigiosi alberghi ben presenti nell'immaginario di molti lettori dei romanzi mitteleuropei e perciò anche delle opere di Stefan Zweig a cui il regista Wes Anderson dedica questa sua ultima fatica.

 

L'Hotel aveva tutte le caratteristiche del luogo di vacanza per vecchi aristocratici e per ufficiali al servizio dell'imperatore asburgico alla vigilia della prima guerra mondiale: era monumentale per l'imponenza delle dimensioni, illeggiadrito, tuttavia, dalle decorazioni floreali ed era isolato e lontano dal mondo in cima a una montagna di difficile accesso e molto spesso innevata.

Il regista, quasi a sottolinearne l'irraggiungibilità spaziale e soprattutto temporale, ci porta a conoscere il grande edificio dell'albergo utilizzando la tecnica mista del cartoon e della ripresa cinematografica, provocando un effetto singolare, come se la facciata dell'enorme costruzione fosse stata anch'essa disegnata, appiattita sullo sfondo di cartone, per staccarsene progressivamente acquistando profondità e assumendo l'aspetto di un grande albergo vero e proprio, ricco di saloni, lussuosamente arredati, di stanze, appartamenti e corridoi, di cucine e dispense e anche di piccole mansarde senza servizi per la servitù.

 

Dopo le guerre del '900 l'albergo aveva subito alcuni passaggi di proprietà, per giungere infine nelle mani di un anziano signore, chiamato Zero Moustafa (F. Murray Abraham), che aveva potuto venirne in possesso dopo una serie di peripezie, vissute molto prima con Gustave.

Zero Moustafa (da giovane è Tony Revolori) era infatti giunto in quel luogo prestigioso quando era ancora un ragazzino, tanto che, per invecchiarsi un po', si era creato dei sottili baffi a colpi di matita; egli non sapeva nulla di nulla (si chiamava Zero!), ma era sveglio e dispostissimo a imparare l'arte della conciergérie da Gustave, a sua volta dispostissimo a insegnargliela.

 

Il suo maestro, però, era anche un gran seduttore di vecchie e facoltose signore sole, che corteggiava senza eccezione alcuna, amandole devotamente e ricevendone ricche ricompense, ciò che gli aveva cambiato la vita quando l'ottantaduenne Madame D. (Tilda Swinton, bravissima e "invecchiata" a dovere) si ricordò di lui nell'ultimo testamento, lasciandogli un'eredità così cospicua da innescare violente reazioni a catena nei suoi eredi che, a cominciare dal figlio Dimitri (Adrien Brody, spassosissimo), condussero contro di lui una guerra senza esclusione di colpi, mentre le vere guerre del '900 avrebbero sconvolto l'assetto delle gerarchie sociali in ogni parte dell'Europa, spazzando via il mondo da operetta di arciduchi, principesse e sovrani, in vacanza al Grand Budapest Hotel della terra di Zubrowka.


E' lo stesso Zero Moustafa a raccontare a uno scrittore in cerca di ispirazione (Jude Law), di passaggio nell'Hotel ormai profondamente diverso, il tempo passato e le avventurose storie, di cui fu testimone e protagonista, insieme al leggendario concierge, che ne ricambiò fiducia e amicizia, intervenendo più volte in sua difesa, quando la sua condizione di immigrato senza documenti lo rendeva sospetto e indesiderabile in una realtà nella quale, di lì a pochi anni, qualcuno avrebbe creato la propria fortuna politica teorizzando e praticando il più spaventoso razzismo.

 

 

 

 

La vicenda, fantastica nell'impianto, ripercorre, secondo gli stilemi dei racconti di avventura più classici (i viaggi; il rapporto servo-padrone; la casualità degli eventi e degli incontri; i colpi di scena; i misteri; la lotta fra bene e male) la formazione del giovane Zero, collocandosi però in una realtà storica che, avendo i contorni della "Finis Austriae", conferisce al film una certa complessità e un innegabile fascino, senza perdere la leggerezza divertente e un po' surreale tipica di tutti i bellissimi film di Wes Anderson, ciò che, insieme  al cast di attori straordinari (oltre ai già menzionati ricorderei particolarmente Bill Murray e Mathieu Amalric), fa della visione di questo film una gran bella esperienza.



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