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Il quinto potere

Regia di Bill Condon vedi scheda film

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La recensione su Il quinto potere

di nickoftime
6 stelle

"I tre giorni del Condor", thriller spionistico diretto da Sydney Pollak ed interpretato da Robert Redford si concludeva con la certezza che la cospirazione anti americana scoperta da Joseph Turner non sarebbe mai arrivata sulle pagine dei giornali nonostante gli sforzi del protagonista. Un finale amaro e sconvolgente, ma indicativo di uno status quo da Grande Fratello che il film di Pollack denunciava senza mezzi termini. Eravamo nel 1975, ed il cinema americano stava vivendo attraverso i fasti della “Nuova Hollywood” un momento di irripetibile libertà artistica e culturale che permetteva ai film di rimanere attaccati alla realtà senza venir meno alle necessità dello spettacolo e dell’intrattenimento. La stessa cosa, ma con maggiore consapevolezza, tenta di fare il nuovo film di Bill Condon che in leggera differita rispetto a fatti ancora in corso ripercorre l’escalation di Wikileaks, la piattaforma online che mise in rete informazioni confidenziali sugli argomenti più scottanti del nostro tempo, e di Julian Assange, l‘hacker australiano attualmente esiliato all’interno dell’ambasciata ecuadoregna di Londra per sfuggire all’estradizione richiesta dagli Stati Uniti che lo vorrebbero processare per aver messo a rischio la sicurezza della nazione con la rivelazione di documenti segreti sulla guerra in Iraq ed Afghanistan.

Il film di Condon come quello di Pollack utilizza le forme del thriller per raccontare due vicende che mettono in scena l’ennesima sfida tra Davide e Golia, con l’informazione ed il web utilizzati da Assange e dal socio David Berg come le pietre e la frombola dell’episodio bibblico, allo scopo di smascherare le manovre oscure di uomini e governi. Ma a differenza del personaggio interpretato da Redford, Julian Assange è non solo un protagonista reale della nostra epoca, continuamente sotto i riflettori ed oggetto di riletture che ogni volta, ed a secondo dei punti di vista, lo ripropongono in chiave positiva o negativa, ma rappresenta anche la nuova frontiera di un nuova modo di fare informazione che non prevede alcun limite di censura nella diffusione delle notizie. Pur raccontando allo spettatore i passaggi che hanno trasformato il lavoro di Assange in una guerra privata con gli Stati Uniti d’America, colpiti nel cuore di un sistema di comando e controllo diventato improvvisamente vulnerabile, il film insiste molto sul dilemma morale di una conoscenza, quella ottenuta pubblicando i file governativi e confidenziali, che per essere totale e priva di censura sacrifica la vita e la dignità delle persone (per esempio quelle del personale e degli informatori che lavoravano sotto copertura per conto del governo). A farne le spese, almeno nella storia ufficiale è proprio Daniel Berg – interpretato dall’attivissimo Daniel Bruhl al cinema anche con "Rush" – come si vede nel film messo al bando da Assange per la sue posizioni meno radicali e più possibiliste rispetto alle questioni messe in campo dalle scottanti rivelazioni.



Raffigurando il quinto potere come un Leviatano che per sconfiggere la potenza degli avversari rischia di prenderne il posto in termini d’ossessività e disciplinamento, il film di Bill Condon compie un doppio salto mortale. Dapprima scegliendo di narrare una parabola umana lungi dall’essersi conclusa ed ancora in discussione. Successivamente decidendo di farlo tentando di conciliare precisione documentaria e spettacolarità da blockbuster. Per farcela Condon gira con una frenesia che vorrebbe rispecchiare la velocità delle notizie, e poi trasforma la cornice filmica in una sorta di grande pc e la storia in una sua ipotetica schermata. In questo modo le singole sequenze si sovrappongono a codici e dati numerici trasferendo allo spettatore un’impressione di onnipotenza e di ubiquità, la stessa che si può avere di fronte al proprio personal. Se le opzioni stilistiche e la natura sintetica delle immagini appaiono coerenti ai contenuti della pellicola, a stonare sono però gli esiti perchè invece di trovarsi di fronte la stessa trasparenza ed la ricchezza di dati offerti dalla rete, lo schermo di Condon è obbligato a fermarsi sulla soglia di verità difficili da capire e forse da raccontare. Così non ci stupiamo di ritrovarci di fronte ad una cronologia filmata di fatti e di nomi, che seppur tonificata dalla recitazione iper professionale di un cast di livello (ottimo Benedict Cumberbatch) e dall’efficenza tecnica delle riprese, risulta priva di consistenza e ridotta alla consistenza di una semplice breaking news.

Se il film scorre via nonostante le più di due ore di proiezione qualche qualità la deve pure avere – e siamo certi che non mancherà di affascinare coloro che sono meno dentro la questione – ma è pur vero che il coinvolgomento funziona più nella prima parte con la seconda in debito d’ossigeno per lo schematismo con cui la disputa tra Assange ed il resto del mondo viene presentata . Quando poi si arriva all’arringa finale, con il canuto protagonista ridotto a caso patologico dalla voce over di Berg (Assange vuole scoprire i segreti degli altri per nascondere i suoi) allora il dado è tratto, così come la sensazione che il caso Wikileaks non è ancora chiuso e riserverà ancora molte sorprese.
(amazingcinema.it)

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