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Rockstar

Regia di Imtiaz Ali vedi scheda film

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riccardo III

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Rockstar

di riccardo III
8 stelle

Da più di cinque anni ormai non seguo seriamente il cinema di Bollywood e questo film del 2011 è il primo che vedo da tanto tempo. Bene, la nostalgia è stata fortissima: nostalgia di una cinematografia che, se anche si incentra su ben pochi temi, non è immobile, non essendo l'India un paese di vecchi (soprattutto nel senso di "persone senili"). Nella prima mezz'ora, ho apprezzato molto le innovazioni e pure le prese in giro di alcuni clichés del genere, ad esempio l'innamoramento-lampo che fino a non molti anni fa era obbligatorio e che viene sbeffeggiato a sangue, oltre ad essere
sostituito da un'amicizia a tratti esilarante, oppure, più avanti, la scena di bacio, anche questa una novità, dove la condanna del passato, in nome del sentimento "unica verità", è espressa esplicitamente nella battuta: "perché non lo sento come sbagliato?".

Per quanto riguarda il già noto, è un caso flagrante di "Bollywood unchained". Ad essere scatenate, ovviamente, sono le passioni umane, anzi la passione, l'amore, che solo Bollywood riesce abitualmente a portare a livelli "metafisici" senza vergogna né misura, raggiungendo un'intensità bruciante e persino quella magia che si respira soltanto ad altezze siderali. Il "Dard-e-judaai", il "dolore della separazione", caro vecchio luogo comune bollywoodiano e anche, se non erro, della poesia urdu, qui è portato all'estremo: i due amanti proprio all'atto della separazione (il matrimonio di lei) si rendono conto del loro sentimento e non riescono poi a vivere l'uno senza l'altra. In senso letterale: lei si ammala molto gravemente, lui fa subire a chi lo circonda tutto il peso della sua disperazione, con comportamenti da rockstar viziata e aggressiva. Ma quando le due metà umane si riuniscono, la tempesta si calma, e ogni convenzione salta (si veda la bellissima scena sotto il lenzuolo, dove vengono enumerate le ipocrisie della società e, tra queste, ce ne sono di popolarissime sia in India che in Occidente, oppure quello che è l'abbraccio più bello, nella sua passione - sofferenza e amore insieme - che io abbia mai visto al cinema).

Va da sé che, come ogni amore totalizzante che si rispetti, esso porta in sé il germe della morte (di nuovo la scena del lenzuolo che, inquadrato di lato, sembra un sudario come quelli usati nei funerali musulmani indiani - ed entrambi i protagonisti lo sono, oppure le conseguenze sulla salute di lei alla fine). La musica, e la poesia, sono totalmente in funzione della storia d'amore e dei sentimenti dei personaggi, e sono viste come subalterne all'amore in un'ottica esistenziale, più ancora di come avrebbe detto de Musset nelle sue strofe alla cantante Malibran: "ce que l'homme ici-bas appelle le génie, c'est le besoin d'aimer, hors de là tout est vain". E ancora: "rien n'est bon que d'aimer, n'est vrai que de souffrir". Figuriamoci la fama, che è veramente "un fiato di vento". Così, nello stupendo finale all'Arena di Verona, l'amore viene dichiarato, pure in mezzo al dolore e all'impossibilità di conciliazione, realtà indistruttibile e sorgente eterna: nel bene e nel male, un mondo a parte. 

Si potrebbero fare mille ragionevoli appunti al film, o mettere totalmente in questione la verosimiglianza dell'insieme, ma temo si mancherebbe completamente il punto, che è semplicissimo: questo tutto è meno che un film occidentale e bisognerebbe lasciare il più possibile i propri criteri "europei" a casa, criteri che vengono spazzati via da una forza emotiva che tutto travolge per suscitare entusiasmo, commozione, dolore e coinvolgimento profondi.

Sulla colonna sonora

A. R. Rahman ha fatto di meglio, ma la musica è bella quanto basta. Anche i testi sono buoni.

Su Imtiaz Ali

Sa creare l'atmosfera giusta, e rende organici tutti i numeri musicali.

Su Ranbir Kapoor

Il suo personaggio all'inizio è un autentico nerd idiota, decisamente imbambolato (anche troppo, forse), che insegue la fama e che dei sentimenti propri e altrui non sa un accidente - e qui bisognerebbe introdurre il discorso, molto indiano,
dell'equivalenza sentimenti-sofferenza-talento, oltre alla dimensione religiosa del dolore nella corrente musulmana sufi,
nell'episodio del tempio. Colla trasfigurazione (non totale, ovviamente, il nostro rimane sempre vagamente com'era) portata dall'amore viene fuori un artista e soprattutto un amante eccezionale per i nostri standard, dalla capacità emotiva uguale a quella della donna (cosa che in Italia sarebbe un'eresia totale, per il motivo semplicissimo che la maggioranza degli uomini
è ancora educata e si gloria pure di essere sentimentalmente gelida). E l'attore? Innanzitutto, un gran bel ragazzo (per inciso, lo preferisco con il look "trascurato":)), poi in possesso, come ogni attore bollywoodiano che si rispetti, degli sguardi amorosi più letali del pianeta. Dopo l'ultimo, quello scoccato nel finale, un impasto di amore e dolore sublimi, oserei dire che si potrebbe morire contenti:)))) Il nostro comunque è un acquisto recente (ultimi cinque anni, direi) e qualcosa da imparare ha, ma promette molto, molto bene.

Su Nargis Fakhri

Bellissima (quando è abbigliata da sposa kashmira è indescrivibile), ma è molto sopra le righe. Fortunatamente l'alchimia col partner è perfetta e tutto il resto si dimentica. (A proposito di Kashmir: da tanto questo stato è simbolo di bellezza paradisiaca e così è qui, ma ci si prende anche bonariamente in giro con la battuta "Il paradiso è tra i suoi vestiti!" - della ragazza kashmira).

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