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Il passato

Regia di Asghar Farhadi vedi scheda film

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La recensione su Il passato

di LorCio
10 stelle

È difficile non condividere ogni parola della recensione di Alberto Crespi (in sintesi, ma leggetela tutta: “In due parole: grande film. Altre due parole: da vedere”), ma sforziamoci a dare una nostra visione. Il passato inizia dove finiva Una separazione (e fin qui ci siamo, banalità delle banalità): due che un tempo si sono amati devono firmare le carte per il divorzio affinché lei possa risposarsi con un tintore, la cui moglie è in coma. Non sono solo i tre adulti al centro di questo triangolo scaleno privo di equilibrio ed armonia ad essere coinvolti nelle dinamiche della storia: per capire cosa si agiti davvero nel profondo di questo thriller sentimentale, è forse la chiave di lettura meno scontata ascoltare i silenzi, i tormenti e le confessioni dei tre ragazzini che completano il cast, dall’irrequieta primogenita di lei al nervoso figlioletto di lui senza dimenticare la taciturna secondogenita sempre di lei.

 

Perché quest’attenzione ai ragazzini? Perché se è vero, com’è vero, che Il passato è innanzitutto un film sul dolore, è innegabile che esso annienti con violenza più gli innocenti che i colpevoli: sia la madre, non di rado brutale, che il nuovo compagno, spesso più che duro, in quanto concubini e ideali “corresponsabili” della quasi-morte di un’altra persona, non possono che essere da una parte gli artefici del dramma e dall’altra i perfetti esempi della fallibilità umana alle prese con le ragioni del cuore, ma anche l’ex compagno della donna, con forse eccessi di paternalismo (l’unico personaggio adulto che si prende il rischio di rappresentare qualcosa di positivo, sano, totalmente affettuoso), rischia di finire sul banco degli imputati per una fragilità che non vorremmo mai riconoscere ad una figura paterna. Il passato è in realtà il tempo che non esiste, o meglio ancora il tempo che si è fermato, arenato, che non vuole, non sa, non può passare se non mimetizzandosi nella simulazione di un finto presente e di un improbabile futuro. A suo modo è un film sanamente pessimista.

 

Al di là di queste annotazioni, è un film di una complessità tale da risultare semplicissimo nel suo divenire drammatico, un anti-melodrammone che trova la sua cifra identitaria nell’assenza di esagerazione, nel rigore estremo, nella mancanza di ridondanze narrative o tecniche. Quattro o cinque scena da mandare a memoria, sguardi da antologia, momenti altissimi. Merito soprattutto di una sceneggiatura di ferro in funzione di una regia più intima e “naturale” che realistica, e viceversa (i miracoli dell’autore, sempre più rari di questi tempi di trombe e di squille in cui tutti si sentono autori): cinema puro e, soprattutto, umanissimo ed universale nella sua accezione più globale.

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