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Gli stagisti

Regia di Shawn Levy vedi scheda film

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La recensione su Gli stagisti

di OGM
4 stelle

Signori, benvenuti sul pianeta Google. Il quartier generale dell’uso intelligente di internet. Il cuore della multimedialità interattiva e della pubblicità senza confini. La premessa non è male, e suona alquanto promettente. Purtroppo è solo un Mountain View di cartapesta quello che visiteremo. Un artificioso sfondo scenografico,  spennellato dei colori iridati del logo, e rinforzato, giusto per gradire, da una manciata di termini informatici appiccicati là per là, a beneficio dei turisti più sprovveduti. Vince Vaughn, coautore ed interprete principale del film, vi compare nella veste di un buontempone attempato e sbiadito, a cui non esce la battuta spiritosa, ma solo un flusso inarticolato di gag flosce e cervellotiche: un balbettio dadaista che gira invano intorno alla velleità di generare una comicità matura e creativa. L’omone stralunato della commedia d’oltreoceano sembra essersi stancato di combinare veri guai, concreti e scoppiettanti, per ripiegare su sofisticati errori concettuali o  involute divagazioni linguistiche, e capitombolare, infine, su patetiche botte di ignoranza.  Il suo compare (Owen Wilson) ne è la degna spalla: si direbbe un’ombra che lo segue in funzione apologetica, per spiegarne le stranezze e giustificarne i fallimenti, arrampicandosi sugli specchi di una filosofia autolesionista travestita da disincantata saggezza. Una sceneggiatura assai dispersiva, ondeggiante tra didascalismo e retorica, e complessivamente sconclusionata, accresce il senso di disorientamento procurato da una trama davvero inconsistente: la storia di una competizione a squadre tra stagisti del web, nella quale manca totalmente,  oltre ad un’adeguata conoscenza della materia, la capacità di inventare situazioni interessanti e svilupparle compiutamente sul piano narrativo. Da questo insipido pasticcio, il famoso motore di ricerca esce con le ossa rotte, visto che la sua immagine è rozzamente data in pasto a stereotipi da quattro soldi, strappati a morsi dai miseri resti del sogno americano. E dire che, a giudicare dal contesto – un seminario estivo per aspiranti collaboratori del colosso telematico – questo avrebbe potuto essere un film giovane e brillante. L’argomento, al di là dei possibili intenti di promozione commerciale,  si prestava  infatti ad essere trattato con maggiore freschezza, puntando al sorriso dissacrante o all’entusiasmo adolescenziale. Invece i suoi frizzi e lazzi nascono già logori, destinati a compiere, nel cielo, una breve parabola priva di energia. Fallisce la celebrazione, come  la parodia, ed anche il contenuto divulgativo langue. The Internship non diverte e non informa, e cerca solo inutilmente di girare in scherzo una realtà di cui sa poco o nulla.  

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