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The Wolf of Wall Street

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su The Wolf of Wall Street

di LAMPUR
6 stelle

“Come ti vendo un film”, sembra ammonire Scorsese, puntando tutto sul restyling (?!) di un qualsiasi American Pie - un ossimoro azzardato -.

La storia (vera) di Jordan Belfort, brooker d'assalto prototipo rudimentale tutto chiaccheraesorriso degli attuali maghetti della finanza da paradiso fiscale, che spicca il volo praticamente dal sottoscala a botte di penny stock (azioni spazzatura) e finisce gestendo esclusivamente spazzatura (umana e non).

 

Il film sarà pure frenetico e concitato ma spesso s’impalla nei suoi reiterati vortici episodici e rischia l’avvitamento a precipizio, come nelle ripetute arringhe alle folle osannanti, dove DiCaprio mette su il ghigno baubau o quella spocchietta di marca deniresca che lo porterà, ahilui, lontano dall’Oscar.

 

Meglio allora quando la moglie lo sveglia a bicchierate d’acqua, tirandogliele a ripetizione, lì ho visto il Leo sorpreso ed incazzoso, nature direi; ma più spesso il pupillo del Maestro Che Vende Film procede tra il gatsbyzzato o lo shutterante, come se il buon Martin lo muovesse a mezzo fili, e tutti ben visibili.

 

Tutta la baracca punta spedita alla desensibilizzazione dello spettatore, creando dipendenza artificiosa, un procedimento che ai Tarantino riesce una favola, agli Scorsese magari un po’ meno, visto che non si tratta di sdoganare sangue a litri ma circa 500 vaffanculi cosparsi di fregole sessuali ed equamente sfrantumati per tutta la pellicola.

 

Oddio, alla fine non li ascolti manco più, confondi tette ed indici di borsa e non ti rimane chiaro se si voglia sberlinare il Belfort oppure, col ghigno reiterato del DiCaprio produttore, lo si esalti ancor di più, come con la fila di neo brookers che sbavano per essere ammessi a corte.

 

La rudimentale haka che sancisce il passaggio dall’effimera fase onesta al tuffo nella dissolutezza senza confini, con l’etica finanziaria calpestata sotto i piedi, tra un Martini e l'altro alternate ad una sana esaltazione onanistica, dal buon McConaughey.. (che come cameo non batte certo il De Niro di cui sopra, mafioso doc in American Hustle), quell’haka dai selvaggi richiami, dicevamo, è l’emblema della celebrazione catatonica che non guarda in faccia a nessuno e che sproloquia e sprofonda negli eccessi più convulsi creando assuefazione come un tiro di coca su una chiappa inarcata, confezionando, in contemporanea, una dimensione falso/ sgangherata dove i velocissimi 180 minuti inducono lo spettatore ad elevare a cult, non si sa bene in base a quale acido sintetico emanato quadrimensionalmente dallo schermo, scene come Jonah Hill che piscia nel cestino o l’orgia sull’aereo più pazzo del mondo o la barca affondata dalla tempesta con la nave italiana che salva i superstiti, (al suono di Tozzi e la sua Gloria a tutto volume, mancavano gli spaghetti e il mandolino, strano però...), o anche la - godibile lo ammetto - scena di guida completamente anchilosato causa assunzione di quaaludes scadute.. eh eh..

 

Di altro tenore allora, il pezzo dove si giustifica la cena da ventiseimila dollari, un altro input tarantiniano preso a prestito, ed anche ben svolto, a dir la verità, ma sempre di smaccato plagio trattasi... mentre nelle scene dove Leo dovrebbe emergere, come sul batti e ribatti col poliziotto che lo va a trovare in barca, è quasi quest’ultimo a farci bella figura.. a meno che il suo lato B, che DiCaprio sfoggia al termine della sua “festicciola” d’addio al celibato, non sia realmente il suo lato migliore

 

Tutto, comunque, sempre didascalico ed in funzione di.

 

Senza un freno, un ripensamento, un dubbio.

 

Sembrano disegnati, Belfort e i suoi accoliti, forse solo alla fine, nel tentativo di strappare sua figlia alla madre, DiCaprio regredisce a carne debole col rocambolesco tentativo di fuga in macchina (però ‘nartra bustina de coca nel cruscotto avrebbe risolto secondo me.. strano che Martin non c’abbia pensato.. )

 

Siamo lontani appena un decennio dalla futura finanza magica che si ciberà di paradisi fiscali ma Belfort ti vendeva almeno una penna, magari truccata da Parker, ma era come restare in famiglia, una fregatura colloquiale, una stangatina da pianerottolo.

 

Ora è tornato a sbellicarsi Scorsese, e Leo a far di conto reale coi suoi magici incassi, cercando di rientrare (e certo ce la farà) dai soldi spesi.

 

Tutti contenti, anche noi alla fin fine.. ma tra un po', quando l'adrenalina scemerà, diamola una grattatina alla patina d'oro che ricopre queste penny stock...

 

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