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Il venditore di medicine

Regia di Antonio Morabito vedi scheda film

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La recensione su Il venditore di medicine

di champagne1
7 stelle

La teoria della doppia impossibilità? Due topini nella stessa gabbia possono mangiare un pezzo di formaggio collegato alla corrente elettrica. Se mangiano, prendono la scossa; se non mangiano muoiono di fame. Come va a finire?

Bruno è l'informatore scientifico della ZAFER e promuove i suoi prodotti sia attraverso la comunicazione scientifica sia attraverso qualche incentivo al professionista direttamente proporzionale al vantaggio che l'Azienda ne potrà ricavare. Nell'epoca della crisi e con la stretta sui farmaci, Bruno e i suoi colleghi verranno vieppiù esasperati dal loro Capoarea per mantenere adeguati volumi di vendita e ritmi di lavoro esasperanti, pena il licenziamento. Ma per mantenere inalterato il suo stile di vita, Bruno sa che dovrà osare nelle sue richieste ai medici sempre di più....

 

Morabito entra nel merito di uno dei punti deboli della nostra società capitalistica: lo sfruttamento dei problemi di salute a fine di lucro. Entra nell'argomento con uno stile a volte quasi documentaristico, ma lo fa andando a illustrare la situazione di un pesce piccolo, quello che sta in fondo alla gerarchia di comando, il soldato semplice che infatti è quello più esposto, quello a cui si fa la querela e magari un processo, mentre i mandanti restano impuniti nelle loro belle case.

 

Proprio perché il Regista vuole testimoniare che la prima vittima dello sfruttamento estremo della forza lavoro, eseguita con sistemi formalmente ineccepibili, è proprio il venditore stesso: bei vestiti, bella macchina, bella presenza, ma in realtà niente altro che un burattino in mano a un sistema senza scrupoli, molto più forte di lui, che lo plagia e lo condiziona.

 

Poi - è vero - ci si può mettere del proprio, asseconda della nostra umana natura, o forse perché spinti dalle circostanze, usando non certo le virtù teologali: lusinga, adescamento, ricatto, delazione in una catena di soprusi che dovrebbe portare alla perdizione. O forse no: si può vivere sereni lo stesso...

 

Qui c'è il dramma di Bruno, un convincente e intenso Santamaria, che vive parallelamente alla situazione lavorativa un problema coniugale che lui, per non ammettere le sue difficoltà professionali, fa fatica a gestire. E così si arriva nella scena finale in quell'androne squallidamente vuoto e silenzioso in cui sale le scale a capo chino probabilmente rendendosi conto che in cambio di illusori successi professionali si può perdere qualcosa di irrecuperabile (la dignità? l'onore? l'amore?).

NB: i due topolini in gabbia col formaggio elettrizzato alla fine impazziscono e si mangiano a vicenda.

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